E’ di 50 misure di custodia cautelare (47 in carcere e tre agli arresti domiciliari) e di 11 provvedimenti di obbligo di dimora il bilancio dell’operazione anti-camorra svolta questa mattina dal G.I.C.O. del nucleo di polizia economico finanziaria di Trieste e dalla squadra mobile di di Venezia. Gli indagati sono tutti i membri di una strutturata associazione a delinquere di stampo mafioso che dal piccolo centro di Eraclea (Venezia) da molti anni aveva esteso la sua influenza criminale nell’est del Veneto avvalendosi della sua forza di intimidazione per instaurare una condizione di omerta’ e commettere molteplici e gravi delitti di ogni genere.
L’indagine ha consentito di dimostrare come l’organizzazione risulti gia’ costituita alla fine degli anni ’90. Secondo le indagini il gruppo mafioso dopo la sua costituzione si e’ insediato nel Veneto orientale rilevando il controllo del territorio degli ultimi epigoni locali della cosiddetta Mafia del Brenta. Le strategie criminali erano finalizzate tra l’altro anche ad acquisire la gestione e il controllo di attivita’ economiche soprattutto nell’edilizia e nella ristorazione, ma anche ad imporre un “pizzo” ai sodalizi criminali limitrofi dediti al narcotraffico o allo sfruttamento della prostituzione.
Una quota dei profitti dell’attivita’ criminale era destinata a sostenere finanziariamente i carcerati di alcune delle storiche famiglie mafiose di Casal di Principe appartenenti al clan dei Casalesi. Nel tempo l’organizzazione si era finanziata anche con la produzione di fatture per operazioni inesistenti per molti milioni di euro grazie ad una fitta rete di aziende intestate a prestanome, poi oggetto di bancarotta fraudolenta. Oltre alle frodi in denaro spiccano anche quelle perpetrate ai danni dell’Inps attraverso false assunzioni in imprese compiacenti di 50 persone vicine al sodalizio allo scopo di lucrare indebitamente indennita’ di disoccupazione per circa 700.000 euro.
In carcere oltre al sindaco di Eraclea Mirco Mestre, anche Denis Poles, direttore di un istituto di credito di Jesolo, che, come il suo predecessore indagato a piede libero, consentiva ai componenti del clan di operare su conti societari senza averne titolo, concordando con loro l’interposizione di prestanome e omettendo sistematicamente di effettuare le segnalazioni di operazioni sospette. Coinvolto anche un appartenente alla polizia di Stato, Moreno Pasqual, accusato di aver fornito informazioni riservate inerenti ad indagini agli appartenenti al clan e di averne garantito protezione e supporto a seguito di controlli subiti da parte di altre forze di polizia.