“Volli! Volli! Fortissimamente volli!”, il canto libero di Nicola Alaimo

“Volli! Volli! Fortissimamente volli!”, il canto libero di Nicola Alaimo
Nicola Alaimo
2 marzo 2019

L’incontro avviene al tavolo di una delle più rinomate sedi dello street food palermitano, davanti ad un “pane c’a meusa” – che peraltro vengo invitata ad assaggiare – cui Nicola Alaimo, palermitano doc, ormai quasi globetrotter tra i teatri europei e oltreoceano, anelava da tempo, quasi sogno proibito, non aspettava altro che il recital di questa sera al Teatro Massimo in un programma variegato tra arie liriche e romanze accompagnato dal pianista Giuseppe Cinà, per imbandire la tavola. Del resto Nicola sa come realizzare un sogno proibito, anche perché, almeno inizialmente, il canto è stato questo per lui. Un sogno inseguito quando la nonna gli dava i primi rudimenti musicali, quando, bambino scappava, “marinando – lo dice sottovoce – la scuola” e si ritrovava a Piazza Verdi “a contemplare lo scheletro del Massimo, immaginandomi non solo sul palcoscenico, ma a correre attraverso quei meandri più oscuri e segreti. Ad aprire porticine e vedere cosa si nascondesse dietro”. “Ero già da allora innamorato”, conclude, e quell’amore lo porta prima a studiare pianoforte, “la mamma ad un certo punto – racconta – vedendo la forza della mia passione decide che era giunto il momento di fare sul serio e mi iscrive al conservatorio”.

Ma il pianoforte non è la sua vocazione. Lui, vuole cantare. Del resto il canto ha una matrice familiare: lo zio Simone era ed è noto in tutti i teatri del mondo, lo zio Vincenzo era nel coro della Scala. Per Alaimo conta sicuramente il detto alfieriano “Volli! Volli! Fortissimamente volli!”, ma la sua carriera era altrettanto sicuramente predestinata. Una carriera cominciata dalla gavetta, con un’audizione per il coro del Massimo “a 16 anni”. “Una follia! – continua – Sedici anni. Non ero pronto vocalmente, ancora acerbo. Ma ho voluto provare”. La smania di cantare era troppo forte, come conferma lo zio Vincenzo, al tavolo anche lui, ma con delle arancinette al burro davanti. L’Audizione non andò in porto, quell’anno, avrebbe avuto successo qualche anno più tardi, grazie anche ai consigli ricevuti quel giorno. Nicola Alaimo è un affabulatore, la sua voglia di raccontare, colorire le storie con aneddoti ricchissimi di particolare è identica alla verve e alla passione interpretativa che mette nei suoi personaggi.

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L’incontro prosegue inanellando racconto su racconto, storia su storia: il Premio Di Stefano a Trapani, vinto al secondo round con la promessa “di non presentarmi più”, aggiunge ridendo; il debutto con il personaggio di Dandini nella Cenerentola di Rossini, lo stesso ruolo che ha ricoperto nel mese di febbraio alla Scala, il suo rapporto quasi privilegiato con il compositore di Pesaro, tanto da eleggere questa città come base per la famiglia; il ricordo del suo primo stipendio come corista del Massimo, poi le parole del compositore Marco Betta che lo spingono ad avventurarsi nella carriera solistica. E poi il suo primo ruolo drammatico Il Conte di Luna nel Trovatore a Ravenna e l’incontro con Muti. “Avevo lasciato il coro un po’ spaventato un po’ con incoscienza – racconta – con un contratto di solista per il ruolo dello Zio Bonzo in Butterfly a Montecarlo. Non era molto, ma era l’inizio. Poi mentre ero a Montecarlo mi chiama il mio agente che mi propone una audizione a Ravenna come cover per il Conte di Luna. Era il 2003 ed avevo solo 25 anni. Lo ascoltavo incredulo. Ma alla fine vado. Passo l’audizione con Cristina Muti, che curava la regia, con l’obbligo – dice ridendo – di dimagrire di 10 chili entro l’inizio delle prove”. Tra una risata e l’altra ripensando a quanto ha potuto la “smania” per il canto, Alaimo riprende il racconto. “Durante le prove mi capita di dovermi assentare, chiedo un permesso e proprio quel giorno Muti si presenta in teatro, ascolta tutti. Tranne me. Io non c’ero”.

Una fortuna o una sfortuna? Nicola non sa dirlo. Fatto sta che ancora una volta il destino stava sparigliando le sue carte. “Passa qualche giorno e stavamo provando la scena dell’arresto di Azucena, io ero in attesa dietro le quinte, pronto ad entrare. Era una prova di regia, e non avrei cantato in voce, ma un collega passandomi accanto mi fa: Canta in voce, c’è il Maestro! Mi sono sentito morire. Entro in scena e canto cercando di far uscire tutto me stesso”. Evidentemente funziona perché a fine prova Cristina Muti licenzia tutti tranne Alaimo e la pianista chiedendo di cantare “Il balen..” perché Muti voleva ascoltarlo. Era Fatta, al Trovatore di Ravenna – appena sei mesi dopo – seguirà poi il Mosè alla Scala., e tante altre occasioni importanti e indimenticabili. “Con Muti – riprende – ho cantato tutto il repertorio buffo”. Repertorio nel quale Alaimo si trova particolarmente bene, data la sua innata vis comica. Eppure, nonostante questo ci sono ruoli, drammatici, da cui non può e non vuole sfuggire. Uno di questi è Rigoletto che debutterà a giugno a Marsiglia. Un traguardo importante, per il quale si stsa preparando con particolare cura, riconoscendo i punti di forza del suo canto come anche quelle parti che richiedono un lavoro maggiore. Rigoletto è il ruolo sognato da tutti i baritoni, per la complessità espressiva più che per quella vocale e tecnica e Nicola Alaimo non è meno di quanti prima di lui si sono cimentati.

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“Forse sono un po’ giovane – ammette – ho già l’ansia al solo pensiero, ma devo farlo. Sino a questo momento ho sempre rifiutato le richieste che mi erano arrivate per questo ruolo. Non posso aspettare più”. Alaimo è generoso nel descrivere le fasi del suo studio ed ecco che l’incontro si trasforma in una  sorta di session canora privata, un po’ nel classico stile da Bohème, non è Parigi e i tavoli non sono quelli di Momus, ma il clima è lo stesso, lo sono le risate, lo sono le chiacchiere, lo sono le disquisizioni musicali e le storie che ti aprono il mondo di un artista a tutto tondo, ma anche di un uomo che sa  godere dei piaceri della vita, un po’ “sbruffoncello” come alcuni dei suoi personaggi, Dandini, ma più Falstaff in questo caso, ruolo di cui ha vestito i panni più volte e che “adora”, e che è legato ad un progetto “di cui però non posso ancora parlare”.

Manteniamo ancora un po’ il segreto e fede al giuramento fatto attorno al tavolo, quasi come adulti bambini che credono nella magia dei segreti, e della musica. Quella magia che Nicola Alaimo ha sentito sin da subito quando bambino cantava e suonava con la nonna e quando ha consumato il nastro di “una cassetta rossa” dove era incisa la serata che aveva decretato al Concorso Callas la vittoria dello zio Simone. “A quattro anni cantavo la Calunnia, naturalmente storpiando le parole”. Nicola Alaimo è ancora quel bambino, in lui sono ancora vivi i sogni, l’entusiasmo, la curiosità, il modo franco di porsi con gli altri. La siculianità scorre forte del resto nelle sue vene come la solarità dell’Isola nel suo sorriso e della risata aperta. Palermo è la sua città, il Massimo il suo Teatro ed ad essi tornerà sempre, non Nemo profeta in Patria o come Figliuol Prodigo. “Il Massimo – si inserisce lo zio Vincenzo – è un’azienda che conta almeno 500 persone e Nicola conosce ognuna di esse come ognuna di esse conosce Nicola. E questo vuol dire sicuramente qualcosa”. Si, Nicola Alaimo è amato a Palermo e il recital che lo ha portato qui è un amoroso omaggio alla sua città.

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