Due velocissime considerazioni sull’arresto del presidente del Consiglio comunale di Roma Marcello De Vito, con la doverosa premessa che, fino a sentenza definitiva, l’esponente del MoVimento 5 Stelle dev’essere considerato innocente.
Chi è Marcello De Vito? E’ un consigliere comunale – duemila euro di stipendio, poco più poco meno – che vive gli ultimi anni del suo secondo mandato nelle istituzioni. Stando al regolamento attuale dei Cinquestelle (Luigi Di Maio ha promesso che l’avrebbe cambiato, ma poi la cosa si è persa nel nulla), per De Vito non ci saranno altri “giri”. Alla fine della consiliatura dovrà tornare alla “vita di prima”, senza neanche la soddisfazione di aver incassato stipendi ben più corposi come quelli dei suoi colleghi parlamentari.
Pensate a quanti parlamentari dei Cinquestelle, prima di essere eletti, vivevano esistenze economicamente poco gratificanti. Lavoravano per pochi spiccioli o magari erano disoccupati. Saranno capaci di tornare alla vita di prima dopo essersi abituati per una decina d’anni a tutt’altro status? Quanti di loro saranno onesti fino in fondo? Quale percentuale in fondo fisiologica di persone si comporterà invece senza scrupoli?
Parlo dei Cinquestelle ma penso che questo ragionamento potrebbe essere esteso a qualsiasi forza politica che si dotasse delle regole stringenti dei grillini su stipendi e mandati. L’aver ridotto la politica a un semplice fatto di “quantità” piuttosto che di “qualità”, l’aver svilito il lavoro del parlamentare (“sono solo un portavoce, non mi chiami onorevole, uno vale uno”), l’aver dimenticato che la democrazia ha dei costi adeguati a garantirne il funzionamento, tutto questo rischia di avere un risvolto molto pericoloso.
I vitalizi, le immunità, gli stipendi da nababbi, la possibilità di votare in dissenso al gruppo o di ricandidarsi ogni volta che si vuole e tanti altri “privilegi” sono stati istituiti in principio per proteggere gli eletti da pressioni, ritorsioni, tentazioni. Eliminare tutto questo significa sicuramente dare una lezione alla “casta”. Ma anche – l’affaire De Vito ce lo insegna – debellare gli anticorpi della nostra democrazia.