Il fatto che il Vaticano vari norme anti-pedofilia potrebbe essere una “non notizia” (nel piccolo Stato pontificio vivono pochissimi bambini) o addirittura un boomerang (possibile che dopo tutti questi anni il Vaticano ancora non avesse queste norme?), se non si comprende il carattere esemplare che rappresenta questa norma, e il fatto che, sorprendentemente per chi la conosce poco, la Santa Sede ha su molte questioni meno una potestà diretta che un potere di moral suasion. Jorge Mario Bergoglio ha varato – e, cosa non scontata, firmato personalmente – tre provvedimenti: il motu proprio “sulla protezione dei minori e delle persone vulnerabili”, che si applica allo Stato della Città del Vaticano e alla Curia Romana, una nuova legge (numero CCXCVII) sempre per lo Stato Pontificio e le conseguenti linee guida, analoghe alle linee-guida che adotta ogni conferenza episcopale nazionale ma dedicate alla vita dei fedeli del Vicariato della Città del Vaticano.
La nuova normativa, firmata il 26 marzo, entra in vigore a partire dal prossimo primo giugno. Lo Stato vaticano ha già, ovviamente, una normativa canonica, che può condurre un prete pedofilo fino alle dimissioni dallo stato clericale, e Papa Francesco, con una legge del 2013, ha introdotto nell’ordinamento giudiziario anche la possibilità di un processo penale da celebrare presso il tribunale vaticano. Ma mancava una normativa dettagliata “ad hoc”. Un “primo passo importante”, ha evidenziato il portavoce vaticano Alessandro Gisotti, sopo il vertice voluto dal Papa con i presidenti delle conferenze episcopali di tutto il mondo (21-24 febbraio), al quale seguiranno la pubblicazione di un vademecum della congregazione per la Dottrina della fede per chiarire le procedure che i vescovi devono attuare nei casi di abuso e la creazione di “task force” che possano coadiuvare gli episcopati meno attrezzati ad affrontare questo problema.
Quest’ultimo tema è nodale. La Chiesa cattolica mondiale ha affrontato con ritardo il dramma degli abusi sessuali sui minori, scoppiato negli Stati Uniti nel 2001, sotto Giovanni Paolo II, poi con Benedetto XVI nel 2009, e infine nuovamente con Francesco in questi ultimi mesi. Da allora la Santa Sede ha adottato svariate iniziative, normative, procedurali, politiche. E sebbene, cme hanno segnalato gli animi più avvertiti, ci siano ancora passi avanti da fare, la vera sfida è che tutte le conferenze episcopali nazionali seguano. Perché se ci sono episcopati, come quello tedesco o statunitense, che hanno consapevolezza del problema e strumenti per affrontarlo, molte altre Chiesa locali tardano, resistono. Il Vaticano, al cui interno pure non mancano diversità di sensibilità, può fare pressione, adottare nuove norme, supervisionare i processi canonici, pretendere linee-guida nazionali, ma per quanto riguarda il diritto penale non può imporre a tutte le diocesi e a tutti gli ordini religiosi del mondo tutto il necessario per tutelare ovunque i minori. Quel che può fare, ed ha fatto con i tre provvedimenti pubblicati oggi, è dare l’esempio. Stabilire criteri rigorosi al di sotto dei quali ogni episcopato, ogni vescovo, ogni casa religiosa dovrebbe correre ai ripari.
Molte le novità introdotte oggi dal piccolo Stato vaticano, a partire dall’obbligo di denuncia (con tanto di sanzioni pecuniarie in caso di mancata denuncia) al quale sono tenuti i “pubblici ufficiali”, una tipologia che, come esplicitava una legge promulgata da Papa Francesco nel 2013, vale per tutti i superiori, i responsabili, ma anche i legati e i nunzi apostolici. Specificazione non priva di significato, visto che alcuni clamorosi casi recenti hanno coinvolto proprio degli ambasciatori del Papa (mons. Jozef Wesolowski, morto prima che il processo entrasse nel vivo, mons. Carlo Alberto Capella, condannato per detenzione di materiale pedopornografico, e ora Luigi Ventura, nunzio a Parigi accusato di molestie omosessuali). La legge vaticana estende a venti anni, a partire dalla maggiore età dei 18 anni, la prescrizione dei reati. Equipara ai minori gli “adulti vulnerabili”. Prevede la rimozione dall’incarico dei condannati. Assicura l’assistenza psicologica, giuridica e sanitaria alle vittime, oltre a garantire i loro diritti (privacy e non solo) durante le indagini e il processo. Ribadisce la presunzione di innocenza per gli accusati, ma prevede anche la possibilità di misure cutelari e, in caso di archiviazione delle accuse, la necessità di conservare la documentazione. Standard rigorosi, insomma, di una legislazione all’avanguardia, come sottolinea il Vaticano, che ha l’intenzione, oltre al suo stretto ambito di applicazione, di essere esemplare per la Chiesa tutta. askanews