Nomine Ue, “no” a “Spitzenkandidat”. Italia già è fuori dai giochi

Nomine Ue, “no” a  “Spitzenkandidat”. Italia già è fuori dai giochi
29 maggio 2019

Il Consiglio europeo, riunito in sessione informale a Bruxelles, ha ribadito il “no” dei capi di Stato e di governo alla richiesta del Parlamento europeo di designare come candidato alla presidenza della Commissione uno degli “Spitzenkandidat” (candidati capilista) indicati dai partiti europei, e ha discusso poi alcuni altri criteri (parità di genere, equilibrio geografico) riguardo alle nomine dei nuovi vertici delle istituzioni Ue. “La discussione di oggi (ieri, ndr) – ha riferito il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk – ha confermato l’accordo raggiunto dai leader nel febbraio dell’anno scorso, secondo cui il Consiglio europeo eserciterà il proprio ruolo al momento di eleggere il presidente della Commissione; il che significa che, in conformità con i trattati Ue, non potrà esserci alcuna automaticità”.

In pratica, i capi di Stato e di governo hanno risposto all’Europarlamento che essere uno degli “Spitzenkandidat” presentati dai partiti politici europei prima delle elezioni non è una condizione necessaria per essere designati formalmente (secondo i termini dei Trattati Ue) come candidati alla presidenza della Commissione europea, e che dunque potrebbe benissimo essere scelto un candidato che non era stato presentato dai partiti. E’ esattamente quello che volevano il presidente francese, Emmanuel Macron (che comunque esprimeva una posizione molto condivisa, ma spesso non esplicitamente, fra i leader Ue), e il capogruppo dei liberali (Alde) al Parlamento europeo, Guy Verhofstadt. È anche esattamente l’opposto di quello che avevano chiesto in mattinata la Conferenza dei presidenti dell’Europarlamento (con l’eccezione di Verhofstadt), e in particolare il Ppe e il suo “Spitzenkandidat”, lo scialbo Manfred Weber, che solo apparentemente era il favorito nella corsa alla presidenza della Commissione, e che ora sembra aver già perso la partita.

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Tusk ha cercato di “indorare la pillola” aggiungendo, subito dopo la chiusura, un’apertura: “Allo stesso tempo – ha osservato – nessuno può essere escluso: essere uno ‘Spitzenkandidat’ non è una squalifica; al contrario, può aumentare le possibilità” di essere scelto. Ecco, siamo al paradosso: il presidente del Consiglio europeo, a cui la maggioranza dell’Europarlamento chiedeva un “endorsement” del metodo degli “Spitzenkandidat”, risponde che avere quella qualifica non sarà una ragione per essere esclusi dalla corsa. “Il Trattato – ha ricordato ancora Tusk – è chiaro: il Consiglio europeo dovrebbe proporre e il Parlamento europeo dovrebbe eleggere. Pertanto, il futuro presidente della Commissione deve avere il sostegno sia della maggioranza qualificata nel Consiglio europeo sia della maggioranza dei deputati al Parlamento europeo”. “Abbiamo anche discusso – ha aggiunto Tusk – della necessità di riflettere”, nelle decisioni sulle nomine, “la diversità dell’Unione per quanto riguarda la geografia, le dimensioni dei paesi, il genere e affiliazione politica. Questa sarà la nostra vera aspirazione”, anche se, ha avvertito, “nel mondo reale un equilibrio perfetto può essere difficile da ottenere”.

In più, rispondendo alle domande dei giornalisti, il presidente del Consiglio europeo ha osservato che l’ideale sarebbe avere parità perfetta, due uomini e due donne fra le nuove nomine, che riguardano, oltre al presidente della Commissione, il successore dello stesso Tusk, l’Alto Rappresentante per la Politica estera e di Sicurezza comune e il presidente della Bce che avrà l’arduo compito di sostituire Mario Draghi alla fine del suo mandato, fra pochi mesi. I nomi dei candidati arriveranno sul tavolo dei leader al prossimo Consiglio europeo formale, il 21 giugno. L’Italia, almeno per il momento, resta fuori dalla partita. Giuseppe Conte arriva al vertice straordinario dei capi di Stato e di governo e ha assicurato che “abbiamo sicuramente delle chance per far recitare all’Italia il ruolo che merita”.

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Poi ha lasciato il summit senza fermarsi a parlare con la stampa, mentre negli stessi minuti i partner Ue hanno raccontato ai cronisti la posizione e le strategie dei rispettivi paesi. Il premier alla fine della riunione si è fermato per piu’ di cinque minuti sulla porta del Consiglio in attesa dell’auto, a pochi metri dai giornalisti che provano a fargli una serie di domande, ha sorriso ai giornalisti ma ha deciso di non rispondere. Nelle stesse ore in cui tutti parlano con tutti, la distanza del governo italiano dal tavolo delle decisioni e’ plastica. Secondo quanto risulta, solo Conte e Theresa May, dimissionaria e di fatto fuori dei giochi, non hanno avuto nessun bilaterale e nessun incontro con i colleghi sulla partita delicatissima della prossima architettura istituzionale della Ue.

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