“Non volevo speronare la motovedetta o uccidere qualcuno, volevo solo salvare delle vite in pericolo. Ho fatto un errore”. Carola Rackete, ai domiciliari in un’abitazione top secret a Lampedusa, mette a punto la linea difensiva in vista dell’udienza di convalida del suo arresto. La comandante della Sea Watch potrebbe presentarsi di fronte al giudice martedi’ prossimo, 2 luglio, ad Agrigento, anche se la data non e’ stata ancora fissata. La capitana e’ sotto accusa – da parte della Procura di Agrigento – per aver aver violato il divieto di entrare in porto e per aver speronato una motovedetta delle Fiamme Gialle durante l’attracco. La Guardia di finanza, al momento dell’arresto in flagranza, le ha contestato gli articoli 1099, 1100 e 1102 del codice della navigazione. Rispettivamente: rifiuto di obbedienza a nave da guerra; resistenza o violenza contro nave da guerra e navigazione in zone vietate. Contestato anche l’articolo 12 del decreto legislativo 286 del 25 luglio 1988, che e’ il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
Il pm di Agrigento, Gloria Andreoli, formalizzera’ i capi di imputazione nel corso dell’udienza di convalida secondo le impostazioni della Procura della Repubblica, guidata da Luigi Patronaggio e dall’aggiunto Salvatore Vella. Tra gli altri reati ipotizzati, ma ancora non formalmente contestati, quelli legati al delitto di naufragio. Se venisse contestato il tentato naufragio – afferma Michele Comenale Pinto, docente di diritto della navigazione all’universita’ di Sassari – “vorrebbe dire, evidentemente, che la procura ipotizza una condotta volontaria. Ma il reato di naufragio e’ perseguibile anche a titolo colposo, non solo doloso”. “E’ stata fatta una manovra in condizioni di estrema difficolta’, ma non c’e’ stato alcun atto criminale, solo la necessita’ di salvare delle vite”, ha spiegato la capitana al suo legale, Salvatore Tesoriero, ricostruendo la manovra che ha portato al suo arresto e sottolineando che “non c’e’ stato alcun contatto” con la Gdf. L’avvocato ha detto che una possibile strategia difensiva sara’ quella di contestare il fatto che la motovedetta della Gdf sia una “nave da guerra”.
E sara’ questo uno degli elementi che verra’ sollevato molto probabilmente nell’interrogatorio di convalida davanti al Gip. Una tesi volta a contrastare l’accusa della Procura di Agrigento, ma che non trova d’accordo il professor Comenale Pinto. “La Corte Costituzionale – spiega il giurista – ha chiarito che le unita’ di navi della Guardia Costiera e della Guardia di Finanza sono tecnicamente navi da guerra, perche’ il suo equipaggio fa parte degli equipaggi militari marittimi”. Per quanto riguarda cio’ che hanno sostenuto la comandante e i suoi legali – e cioe’ l’aver forzato il blocco per uno “stato di necessita’”, e in particolare per il rischio che i migranti a bordo, prostrati dalla lunga permanenza in mare, potessero compiere gesti autolesionistici, fino al suicidio – Comenale Pinto risponde: “da un lato abbiamo una certezza, ovvero lo speronamento della motovedetta della Gdf, dall’altro un’interpretazione personale tutta da accertare. La situazione di pericolo per i naufraghi era stata inoltre esclusa qualche giorno prima dalla Corte europea diritti umani”.
Lo stesso Salvini ha commentato: “la comandante fuorilegge ha giustificato il folle attracco che ha messo a rischio la vita degli agenti della Guardia di finanza dicendo che c’era uno ‘stato di necessita”. Ma se nessuno dei 41 immigrati a bordo aveva problemi di salute, di quale necessita’ parlava?” Il professor Comenale Pinto ricorda infine alcune analogie – anche se a ruoli invertiti – con il caso della nave della Marina militare ‘Sibilla’ che nel 1997, di fronte alle coste albanesi e in una situazione di interdizione navale, taglio’ la strada ad una unita’ navale carica di migranti, provocando nell’impatto la morte di 108 persone. Il comandante di quella nave militare – ricorda il docente – e’ stato condannato per naufragio con sentenza definitiva della Cassazione.