Ennesimo buco nell’acqua alla ricerca della salma di Emanuela Orlandi, la ragazza al centro di uno dei più imperituri “misteri” vaticani. Figlia di un commesso della Prefettura della casa pontificia, la giovane sparì all’età di 15 anni il 22 giugno 1983 dopo essere uscita dalla scuola di musica che frequentava in piazza Sant’Apollinare a Roma. E oggi, per la terza volta in pochi anni, l’esplorazione di una possibile tomba non ha dato esito. Attorno alla sua scomparsa vi sono sempre state poche certezze e molti retroscena.
E se il Vaticano nei primi decenni ha potuto alimentare i sospetti con un atteggiamento di riservatezza – “A tanta segretezza, la dietrologia risponde con i suoi talenti”, diceva il vaticanista Benny Lai – la Santa Sede ha ormai scelto una linea di trasparenza che forse lascia i familiari insoddisfatti ma punta a diradare le ombre. Il 14 maggio 2012, con il beneplacito del Vicariato, fu aperto il sarcofago di marmo che conteneva la salma di un boss della “banda della Magliana”, Enrico “Renatino” De Pedis, nella basilica di Sant’Apollinare. La vicinanza al luogo dove la giovane fu vista l’ultima volta prima di sparire, l’ipotizzato coinvolgimento della banda nel suo rapimento, nonché la obiettiva singolarità degli onori tributati a un malvivente in una chiesa romana avevano indotto alcuni ad ipotizzare che nella tomba vi fossero i resti mortali di Emanuela Orlandi. Ma gli accertamenti permisero di identificare il corpo contenuto con quello di De Pedis. Emanuela non c’era.
Ad ottobre scorso, presso la nunziatura apostolica a Roma, a via Po, vennero trovate delle ossa sul sottosuolo di una depandance. La Segreteria di Stato decise di aprire un’inchiesta e fonti anonime ipotizzarono inopinatamente che potessero essere i resti scheletrici di Emenuale Orlandi. Dopo un esame, le ossa sono risultate risalire a un periodo compreso tra il 90 e il 230 dopo Cristo. Emanuela non c’era. Oggi, infine, su richiesta dell’avvocato della famiglia Orlandi, Emanuela Sgrò, sono state aperte, su disposizione della magistratura vaticana, due tombe del Camposanto Teutonico, dentro il Vaticano, appartenenti alla principessa Sohpie von Hohenlohe e alla principessa Carlotta Federica di Meclemburgo. FOnti anonime avevano suggerito ai legali delle famiglia di cercare lì… ma Emanuela non c’era.
Le tombe aperte questa mattina erano completamente vuote, non contenevano neppure i resti delle principesse che ci si aspettava di trovare. “Inquietante”, per il fratello di Emanuela, Pietro. Il Vaticano spiega che “sono in corso verifiche documentali riguardanti gli interventi strutturali avvenuti nell’area del Campo Santo Teutonico, in una prima fase alla fine dell’Ottocento, e in una seconda più recente fase tra gli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso”. L’impressione è che per gli uni, in Vaticano, il vuoto sia la riprova che non c’è nessun gran mistero, per gli altri, i famigliari delle ragazza, il vuoto alimenta il mistero. E’ solo un “primo passo” di un “nuovo filone di indagine” che intende perseguire a “360 gradi”, afferma la legale, “adesso ogni informazione comunque è sibillina, perché tardiva”. Per Pietro, “il Vaticano per la prima volta dopo 36 anni ammette che ci possa essere la possibilità di una eventuale responsabilità interna” e ora “personalità all’interno del Vaticano e personalità all’interno dello Stato italiano”, “a conoscenza di quello che è accaduto e che fino ad oggi hano mantenuto un silenzio e un’omertà”, prima o poi dovranno “cedere”.
La Santa Sede evita le polemiche e ribadisce di avere “sempre mostrato attenzione e vicinanza alla sofferenza della Famiglia Orlandi e in particolare alla mamma di Emanuela. Attenzione dimostrata anche in questa occasione nell’accogliere la richiesta specifica della famiglia di fare verifiche nel Campo Santo Teutonico”. E’ una linea ormai consolidata. Già anni fa l’allora portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, venne incontro alle richieste dei giornali ricostruendo la vicenda. In una lunga nota, pubblicata il 14 aprile 2012, ricostruì i vari passaggi, i contatti tra magistratura vaticana e italiana, le diverse rogatorie, per arrivare ad affermare che “non risulta che sia stato nascosto nulla, né che vi siano in Vaticano “segreti” da rivelare sul tema”.
Ma, riassumeva il gesuita, “la sostanza della questione è che purtroppo non si ebbe in Vaticano alcun elemento concreto utile per la soluzione del caso da fornire agli inquirenti. A quel tempo le Autorità vaticane, in base ai messaggi ricevuti che facevano riferimento ad Ali Agca – che, come periodo, coincisero praticamente con l`istruttoria sull`attentato al Papa – condivisero l`opinione prevalente che il sequestro fosse utilizzato da una oscura organizzazione criminale per inviare messaggi od operare pressioni in rapporto alla carcerazione e agli interrogatori dell`attentatore del Papa. Non si ebbe alcun motivo per pensare ad altri possibili moventi del sequestro. L`attribuzione di conoscenza di segreti attinenti al sequestro stesso da parte di persone appartenenti alle istituzioni vaticane, senza indicare alcun nominativo, non corrisponde quindi ad alcuna informazione attendibile o fondata; a volte sembra quasi un alibi di fronte allo sconforto e alla frustrazione per il non riuscire a trovare la verità”.
E, quasi a mo’ di post scriptum, padre Lombardi suggeriva uno spunto che inquadra tutta la vicenda in un fenomeno forse poco misterioso ma tragico: “Se le persone che scompaiono ogni anno in Italia e di cui non si sa più nulla nonostante le inchieste e le ricerche sono purtroppo numerose, la vicenda di questa giovane cittadina vaticana innocente scomparsa continua a tornare sotto i riflettori. Non sia questo un motivo per scaricare sul Vaticano colpe che non ha, ma sia piuttosto occasione per rendersi conto della realtà terribile e spesso dimenticata che è costituita dalla scomparsa delle persone – in particolare di quelle più giovani – e opporsi, da parte di tutti e con tutte le forze, ad ogni attività criminosa che ne sia causa”.