Pentagono testa missile, riapre corsa al riarmo. Pechino e Mosca contro Usa

Pentagono testa missile, riapre corsa al riarmo. Pechino e Mosca contro Usa
21 agosto 2019

Il lancio di un missile a medio raggio, avvenuto domenica scorsa da una nave americana al largo delle coste della California, segna la ripresa ufficiale della corsa mondiale al riarmo, che vede tre protagonisti: Stati Uniti, Russia e, soprattutto, Cina, che rappresenta la vera angoscia per Washington nel Pacifico. Il test “scatenera’ un nuovo round di una corsa agli armamenti, portando a un’escalation dello scontro militare, che avra’ un grave impatto negativo sulla situazione della sicurezza internazionale e regionale”, ha affermato il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Geng Shuang. Per la diplomazia di Pechino, che si e’ unita a Mosca nella cndanna della “escalation militare”, gli Stati Uniti dovrebbero “lasciar andare la propria mentalita’ della Guerra Fredda” e “fare piu’ cose che siano favorevoli alla pace e tranquillita’ internazionali e regionali”.

Proprio per lanciare un messaggio a Pechino, d’altronde, piu’ che a Mosca, il Pentagono ha testato il missile, del genere vietato dal Trattato sulle armi nucleari che ha avuto fine il 2 agosto scorso dopo il ritiro unilaterale di Washington. Il missile, di “natura convenzionale” e dunque non nucleare, e’ stato lanciato da una nave americana al largo dell’isola San Nicolas. “Dopo oltre 500 km di volo, ha centrato l’obiettivo”, ha fatto sapere il Pentagono, rilevando che “i dati raccolti dal test forniranno informazioni alla Difesa sul futuro del potenziale missilistico a medio raggio”. L’annuncio del test e’ stato fatto ieri qualche minuto dopo la dichiarazione con cui in Francia, ospite di Emmanuel Macron, Vladimir Putin affermava che la Russia non dispieghera’ missili a corto e medio raggio in quelle regioni del mondo in cui non vi saranno armi statunitensi corrispondenti. Per quanto riguarda i missili a corto e medio raggio, voglio dirlo di nuovo: ci assumiamo unilateralmente una responsabilita’. Se tali sistemi di attacco saranno dispiegati dagli Stati Uniti, lo faremo anche noi”.

Il Trattato Inf bandiva proprio i missili convenzionali e nucleari in grado di viaggiare in uno spazio tra 500 e 5.500 km, ma il capo del Pentagono, Mark Esper, ai pirmi di agosto aveva avvertito che una volta fuori dal Trattato gli Stati Uniti avrebbero sviluppato “i missili terra-aria convenzionali come prima risposta alle azioni di Mosca”. In realta’, la vera preoccupazione dell’amministrazione americana sembra essere piu’ Pechino che Mosca, come aveva spiegato tempo da all’Agi il generale Vincenzo Camporini, consigliere scientifico dell’Istituto affari internazionali ed ex capo di stato maggiore, impegnato attivamente sul tema del disarmo, indicando che la denuncia dell’Inf voluta da Donald Trump e’ stata fatta per arrivare a “un analogo accordo, che non vincoli piu’ solo Russia e Stati Uniti, ma anche la Cina”. Gli obblighi dell’Inf cosi’ come e’ stato finora, secondo Camporini, “esponevano gli alleati degli Usa in Estremo Oriente e rendevano impossibile per Washington contrastare la Cina, con un sistema analogo di armamenti, perche’ vietati appunto dal Trattato”.

Gli Stati Uniti, afferma dal canto suo il Centro di studi sugli Stati Uniti dell’Universita’ di Sydney in un rapporto pubblicato proprio ieri, non hanno piu’ una predominio militare nel Pacifico e potrebbero avere sempre piu’ difficolta’ a difendere i loro alleati contro la Cina, la cui influenza sta crescendo nell’area. Nell’analisi, il centro studi descrive le forze armate statunitensi come una “forza in appassimento” le cui capacita’ sono “pericolosamente superate” e “poco preparate” per uno scontro con Pechino. Gli autori dello studio evocano persino l'”insolvenza strategica” di Washington, sostenendo che decenni di guerra e impegno in Medio Oriente e investimenti insufficienti nel Pacifico hanno esposto gli alleati degli Stati Uniti in Oceania. “La Cina, al contrario, e’ sempre piu’ in grado di sfidare l’ordine regionale a causa dei suoi investimenti su larga scala in sistemi militari avanzati”, si legge nell’analisi. Sotto la presidenza di Xi Jinping, il bilancio ufficiale della difesa cinese e’ cresciuto di quasi il 75% a 178 miliardi di dollari.

Una cifra che sarebbe persino sottostimata. Pechino ha in particolare investito in sistemi di missili balistici di precisione e sistemi di risposta a interventi che complicherebbero il compito delle forze statunitensi che tentano di entrare in un’area contesa. Secondo questo studio, “quasi tutte le basi statunitensi, di alleati, le piste di atterraggio, i porti, le installazioni militari nel Pacifico occidentale” mancano di infrastrutture rinforzate e sono in pericolo. Queste debolezze potrebbero consentire alla Cina di impadronirsi dei territori di Taiwan, delle isole amministrate dai giapponesi o delle aree del Mar Cinese Meridionale senza che le forze statunitensi abbiano il tempo di intervenire. Gli esperti sostengono che contro l’ascesa della Cina siano necessari lo spiegamento di missili terrestri statunitensi; un cambio di ruolo della Marina e una rivalutazione delle strategie di difesa regionali che coinvolgono Giappone e Australia.

E’ questo, lo scenario in cui e’ arrivato l’annuncio del test americano, che impone, a chi abbia ancora a cuore la speranza di pace generata dalla fine della Guerra Fredda, la necessita’ di un nuovo e serio tavolo negoziale tra le grandi potenze. Il prossimo appuntamento sensibile e’ il rinnovo del Trattato New Start sul controllo delle armi strategiche, i cui firmatari sono sempre Usa e Russia. L’intesa scade nel 2021, ma Mosca ha gia’ avvertito che il dialogo con Washington e’ complicato dalla “incapacita’” del partner americano di scendere a compromessi. Ma a Washington, probabilmente, interessa tenere d’occhio gli eredi del Celeste Impero.

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