ll COVID-19 ci sta dicendo che la sanità è la prima cosa di cui un governo si deve prendere cura, e che economizzare su quella non è solo da carogne, ma anche da stupidi (vedi danni all’economia). Ovvio. Ci sta dicendo anche che l’Italia è capace di miracoli di volontà e umanità: non parlo solo dei nostri eroici sanitari (per i quali io, se fossi Mattarella, comincerei a preparare le medaglie al valor civile) ma di tutto un tessuto di gesti solidali di cui sappiamo poco. Due piccolissime testimonianze: tre suore che aiutano i più poveri del quartiere di Ballarò, a Palermo, mi dicevano dell’aiuto affettuoso che stanno ricevendo da parte di volontari (naturalmente autorizzati a spostarsi). E una mia amica sta usando il tempo a casa per preparare copertine per bambini indigenti da distribuire il prossimo inverno. Ma il maledetto virus ci sta dicendo qualcos’altro.
Ci sta dimostrando come i paesi siano ormai interdipendenti, e quanto l’interdipendenza, se da una parte ne ha aumentato la competitività, dall’altra li ha resi fragili e persino ricattabili. Esempio numero uno: la Volkswagen, che usa componenti che arrivano da altre parti del mondo, ha sospeso la produzione anche a causa dell’interruzione della catena di approvvigionamenti. Esempio numero due: l’Italia ordina alla turca Ege Maske qualche centinaio di migliaia di mascherine e le paga. L’azienda consegna, ma il governo turco le blocca in dogana. Non si capisce perché, visto che la Turchia ne produce 50 milioni a settimana. Naturalmente le malelingue dicono che la Turchia usa le mascherine come strumento di pressione politica nei confronti dell’Europa così come fa con i migranti. Dai due esempi, nasce il primo compitino per il dopo-COVID19: come mettere il nostro paese al riparo da pericolose interdipendenze in aree strategiche.
Ma c’è dell’altro: la Cina, e in qualche misura la Russia, approfittano dell’emergenza per scatenare “l’offensiva delle mani tese”. Sabato scorso Xi-Jinping ha telefonato a Macron, a Re Felipe (pensa tu, un presidente comunista che chiama un re), al presidente serbo Vucic e alla Merkel a cui ha detto “Se la Germania ha bisogno, la Cina è pronta ad aiutare, le crisi sanitarie sono sfide comuni per l’umanità, unità e cooperazione sono l’arma più potente”. Parole che ci saremmo aspettate da Trump, ma lui è troppo impegnato a rendere antipatica l’immagine del suo paese all’estero. L’Europa rischia di passare dalla “zona di influenza” americana a un’altra nuova di zecca? E questo è il secondo compitino. O forse i due compitini si riducono a uno solo, un tema di cui propongo il titolo: “Una vera Europa come risposta alle sfide emergenti”.