Si svolge oggi a Bruxelles la riunione dei ministri delle Finanze dell’Eurogruppo più difficile, per la più grande sfida nella storia dell’Ue. Perché questa volta non è solo il destino finanziario, o la permanenza nell’euro, di uno o di alcuni paesi membri che sono in gioco, come all’epoca della crisi del debito sovrano. Questa volta, come ha detto il ministro delle Finanze francese, Bruno Lemaire, in una conferenza stampa teletrasmessa da Parigi, è in gioco la tenuta dell’intero progetto europeo. Perché l’Unione europea “non sopravviverebbe a disparità troppo grandi” fra le economie dei diversi Stati membri, se non si sarà stati in grado di trovare una risposta adeguata all’attuale crisi del Covid-19. “E’ una crisi mondiale paragonabile, per la sua violenza, a quella del 1929. Speriamo che i governi siano più saggi che nel 1929 nella loro risposta”, ha detto Lemaire.
Le proposte sul tavolo dell’Eurogruppo su cui si discuterà sono quattro, ma solo su una, la quarta, c’è un disaccordo maggiore fra diversi paesi: si tratta, naturalmente, dell’ipotesi di una emissione di debito comune per finanziare un fondo per la ripresa. Come i “Corona bond” proposti dall’Italia. Le posizioni in campo, a quanto si apprende a Bruxelles e a Parigi sono sostanzialmente tre. La prima è quella del “fronte nordico”: sei o sette paesi tra cui Olanda, Finlandia, Danimarca e Austria, che potrebbero accettare le prime tre proposte, ma non vogliono assolutamente sentir parlare di “mutualizzazione del debito”, di eurobond o di “Corona bond” sotto nessuna forma, e premono perché queste ipotesi non siano neanche menzionate nei documenti dell’Ue.
La seconda posizione è quella, sul fronte opposto, dei paesi favorevoli a una qualche forma di eurobond, che non riguarderebbero il debito pregresso ma solo il sostegno alla spesa pubblica necessaria, a partire da ora e nel medio termine, per riparare i danni della crisi pandemica e sostenere la ripresa dell’economia. L’Italia, la Spagna, il Portogallo, l’Irlanda sono in questo gruppo, fortemente sostenuti dalla Francia, che sta cercando in tutti i modi di mediare con la Germania, per convincerla a passare in questo secondo fronte. Questi paesi, compresa la Francia, non sono disposti ad accettare un pacchetto dell’Eurogruppo che contenga solo le prime tre proposte. La terza posizione è quella della Germania, che, a quanto si apprende, avrebbe già abbandonato l’intransigenza del fronte nordico, con una timida apertura allo strumento di debito comune. Un’apertura che però consiste sostanzialmente in una tattica temporeggiatrice: i tedeschi, in sostanza, vorrebbero che la discussione su questo punto, ovvero il quarto elemento del pacchetto dell’Eurogruppo, fosse semplicemente rimandato a settembre o ad ottobre. Approvando nel frattempo tutto il resto.
Le prime tre proposte su cui si comincia a delineare una prospettiva di accordo, sono: 1) il ricorso a una nuova linea di credito del Mes (il Fondo salva Stati pensato durante la crisi dell’Eurozona per finanziare il debito pubblico dei paesi sotto l’attacco dei mercati, con tassi d’interesse troppo alti), ma con una “condizionalità” che sia “la più leggera possibile” (secondo Lemaire); 2) un sostegno della Banca europea degli investimenti (Bei) alla liquidità delle imprese private, che includerebbe anche una sua ricapitalizzazione da parte degli Stati membri; 3) il dispositivo “Sure”, una misura proposta dalla Commissione europea per sostenere con prestiti fino a 100 miliardi di euro complessivamente tutti i meccanismi di cassa integrazione di tutti i paesi dell’Ue. Ma, ha spiegato Lemaire, “bisogna essere lucidi: questi tre dispositivi non basteranno: servirà uno strumento più potente per rispondere a questa crisi violenta, globale e durevole”. Uno strumento che dovrà essere “a disposizione di tutti gli Stati membri, in modo che tutti possano ripartire allo stesso tempo, quando vi sarà il ritorno alla normalità, che non potrà che essere graduale”.
Ed ecco quindi la quarta soluzione, di medio termine, da affiancare alle prime tre: il ministro francese propone “un Fondo di solidarietà per finanziare un piano di rilancio fondato sugli investimenti come obiettivo strategico”, destinato a sostenere la spesa per la ripresa economica dopo la fine della crisi sanitaria. Questo Fondo europeo (nel linguaggio finanziario uno “special purpose vehicle”) durerebbe “da tre a cinque anni”, e dovrebbe emettere titoli di debito sui mercati, con garanzie comuni, per mobilitare finanziamenti che potrebbero arrivare al 3% del Pil cmplessivo dell’Ue, sottoforma di prestiti di lungo termine (15-20 anni) a tassi bassissimi. Questi prestiti sarebbero diretti a sostenere la spesa pubblica per investimenti dei paesi membri più colpiti dalla pandemia e dalle sue conseguenze economiche. I settori a cui andrebbero questi investimenti, secondo la proposta francese, sono tre: innanzitutto, ha elencato Lemaire, il sistema sanitario, messo a dura prova dalla pandemia; secondo, i comparti economici che rischiano il collasso a causa del “lockdown”, come “l’aeronautica, il settore dell’auto, il turismo e l’aviazione civile”; terzo, le nuove tecnologie, un campo nel quale, senza l’intervento dello Stato “si rischia di perdere la grande battaglia strategica del XXI secolo di fronte alla Cina e agli Usa”.
Le garanzie fornite dagli Stati membri al Fondo potranno essere, ha spiegato Lemaire, o con responsabilità “in solido e congiunta”, oppure fornite in base alla chiave di distribuzione del Pil (cioè con contributi proporzionali alla ricchezza di ciascun paese). Un’altra possibilità è che le garanzie vengano da “risorse dirette” raccolte con una “tassazione speciale”. Questa proposta, ha avvertito il ministro francese, “non abbiamo bisogno di adottarla già domani nei dettagli”, basta che sia accettato il principio, che l’Eurogruppo la inserisca nel pacchetto insieme alle altre tre; nei “prossimi due o tre mesi”, poi se ne potranno definire i parametri tecnici e le modalità di funzionamento, compresa l’individuazione dell’organismo che dovrà emettere i titoli di debito. A quanto pare di capire, se anche vi fosse l’accordo dell’Eurogruppo sulle prime tre proposte, la Francia non è disposta ad accettare il pacchetto senza la quarta, il Fondo per gli investimenti pubblici basato sull’emissione di debito comune. Lo stesso vale, naturalmente, per l’Italia, che dei “Corona bond” ha fatto la sua bandiera in questa battaglia. In questo caso, solo se non fosse approvato il piano francese (che può essere considerato come una variazione dei Corona bond) l’Italia potrebbe accettare l’inclusione del Mes nel pacchetto, ma senza alcuna “condizionalità” macroeconomica.
Quest’ultimo punto potrebbe essere un problema aggiuntivo. La Germania, attraverso il suo ministro delle Finanze Olaf Scholz e il suo ministro degli Esteri Heiko Maas, ha già accettato che non vi sia condizionalità per il ricorso ai crediti del Mes (“Non abbiamo bisogno della Troika, di ispettori, e di un programma di riforme scritto dalla Commissione per ogni paese”, hanno scritto). Ma l’Olanda ha fatto solo uno sforzo a metà: è disposta ad accettare che la condizionalità per i paesi che ricorreranno al Mes sia “alleggerita”, ma solo in una prima fase. Più tardi in una seconda fase, gli olandesi ritengono che bisognerà comunque che i paesi sostenuti dal Mes ritornino alla “sostenibilità finanziaria”. Che, nel linguaggio del Mes, significa il ritorno della Troika. In questa situazione, con queste divisioni sul campo, è facile prevedere che l’Eurogruppo finisca senza accordo. Nel qual caso, con tutta probabilità, la palla passerà di nuovo al Consiglio europeo, per continuare il negoziato al massimo livello politico. Anche l’ultima volta era andata cosí, e la palla era poi ritornata all’Eurogruppo. Ma questa volta le proposte sul tavolo saranno molto più concrete e dettagliate. E soprattutto urgenti. Si rischia la rottura dell’Unione europea. askanews