Il virus sars-cov-2 “si annulla col calore, basta esporre al sole le mascherine usate o passarle col ferro da stiro, o ancora metterle nel forno di casa ad almeno 70 gradi”: sul web non accenna ad affievolirsi la valanga di consigli per il riuso e la sterilizzazione fai-da-te delle mascherine. A volte introvabili, a volte esageratamente costose, le mascherine sono ormai un vero e proprio “tesoretto” da proteggere e, possibilmente, riutilizzare. Però gli esperti non lasciano spazio a dubbi: “non esiste una procedura standard e accettata per disinfettare le mascherine chirurgiche e i filtranti facciali”, visto che, come spiega l’Iss si tratta di dispositivi monouso per certificazione.
Proprio per questo nei giorni scorsi la sezione Safety di Assosistema Confindustria ha proposto all`Istituto Superiore di Sanità un processo di riutilizzo concordato tra i produttori per riutilizzare i filtri P2 e P3 usati con le semimaschere e, ove possibile, facciali filtranti FFP2 e FFP3 in modo tale da avere maggiore disponibilità di prodotti sul mercato. Ha spiegato il presidente Claudio Galbiati: “Fate attenzione a quello che leggete in questi giorni sul web perché le soluzioni messe in campo mirano ad eliminare la carica virale ma possono danneggiare la capacità filtrante del DPI. Infatti si tratta di processi non validati dai produttori. Per questo l`ISS deve fornire una linea guida su questi aspetti per evitare che il “fai da te” porti a conseguenze ben peggiori, anche a livello di responsabilità, per chi rimette in circolo il prodotto. Per questo abbiamo presentato un processo al quale i filtri P2 e P3 e le maschere FFP2 e FFP3 sono già sottoposte prima di essere messe in commercio, ovvero esposizione a temperature di 70 gradi per provare la capacità filtrante, e stiamo fornendo indicazioni all`ISS già sperimentate per quanto riguarda la parte filtrante, con ampia letteratura in merito, per arrivare a definire un protocollo di sanificazione condiviso”.
“Mi aspetto che Protezione civile e ISS prendano in considerazione questo processo – ha aggiunto il Segretario Generale di Assosistema Confindustria, Matteo Nevi – e lo validino quanto prima per evitare che il “fai da te” porti a problemi ulteriori rispetto a quelli che già abbiamo”. Anche nelle Università di Firenze e Pisa, ricercatori sono al lavoro per reperire le evidenze scientifiche disponibili e pubblicate riguardo alla possibilità di sanificare le mascherine protettive di tipo FFP2 e FFP3 idonee per il personale sanitario, così da fornire indicazioni operative agli ospedali e alle aziende sanitarie unicamente in casi di perdurante grave carenza numerica di questi presidi di protezione individuale. L`allarme, lanciato alcuni giorni fa, riguarda alcuni operatori sanitari (e non solo loro, ma anche gente comune) che hanno iniziato a sterilizzare in maniera non corretta mascherine già utilizzate, con il rischio di danneggiarle o di non decontaminarle. Alcuni specializzandi della Scuola di Scienze della Salute Umana dell`Università di Firenze hanno dunque chiesto aiuto ai bioingegneri dell`Università di Pisa, iniziando con loro una collaborazione in smart working attraverso la piattaforma virtuale UBORA nata grazie ad un finanziamento Horizon 2020 gestito dal Centro di Ricerca E. Piaggio dell`Università di Pisa.
I ricercatori hanno cominciato ad analizzare i lavori scientifici prodotti in seguito alla pandemia da virus H1N1 (comunemente detta “febbre suina”) che ha messo a nudo le difficoltà nel reperire grossi quantitativi di questi dispositivi di protezione individuale. “Studiando la letteratura scientifica – ha spiegato Carmelo De Maria, bioingegnere del Dipartimento di Ingegneria dell`Informazione dell`Università di Pisa e in forza al Centro di Ricerca E. Piaggio – emerge chiaramente che alcuni metodi di sterilizzazione rischiano di alterare le proprietà di filtrazione e la capacità della maschera di aderire al volto, cosa che è fondamentale per la protezione degli operatori. Si stanno dunque valutando trattamenti a bassa temperatura e non aggressivi per i materiali polimerici che compongono la maschera. Ma esistono vari tipi di mascherine, fatte di materiali molto diversi, quindi è opportuno mettere a punto trattamenti che possano essere efficaci su tutte quante e non solo su alcune di esse”. E ha chiarito: “Non esistono, ad oggi, indicazioni dei fabbricanti per la risterilizzazione delle mascherine. La nostra sfida è coinvolgere altri esperti nel nostro team di ricerca tramite la piattaforma UBORA e sperimentare questo nuovo approccio il prima possibile, così da poter essere d`aiuto a medici e pazienti”.