Nella peggiore delle ipotesi, ma “non la più estrema” secondo il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, il Pil italiano alla fine del 2020 si ridurrà del 13% “e la ripresa nel 2021 sarà più lenta”. Le considerazioni finali da palazzo Koch quest’anno si svolgono davanti a una quarantina di presenti, per le misure di restrizione dell’emergenza Coronavirus. Non sono presenti i giornalisti; solo una quarantina di invitati – che indossano tutti la mascherina – fra cui l’ex presidente della Bce, Mario Draghi, i presidenti di Senato e Camera e diversi banchieri ed esponenti del mondo politico e imprenditoriale. “Stiamo attraversando la più grande crisi sanitaria ed economica della storia recente – sottolinea Visco – che mette a dura prova l’organizzazione e la tenuta dell’economia e della società. I tempi e l’intensità della ripresa che seguirà la fase di emergenza dipendono da fattori difficili da prevedere”.
Visco sottolinea che “ci vorrà tempo per tornare a una situazione di normalità, presumibilmente diversa da quella a cui eravamo abituati fino a pochi mesi fa. Significative saranno le ripercussioni sul mercato del lavoro, “attualmente contenuti dalla sospensione dei licenziamenti e dall’ampio ricorso alla Cassa integrazione per circa sette milioni di lavoratori”, aggiunge Visco, che ricorda che nonostante le misure circa 300mila persone in meno partecipano alla vita economica e produttiva del paese dall’inizio della pandemia. Visco ha espresso preoccupazione anche per la tenuta delle banche di piccole dimensioni e altri intermediari non dotati di ampie riserve patrimoniali, nonostante valuti positivamente “i recenti provvedimenti volti ad agevolare la gestione delle situazioni di crisi di questi intermediari”. Da qui la ricetta del numero uno di Bankitalia: subito le riforme strutturali, migliorando la produttività e allungando la vita lavorativa.
Essenziale inoltre investire sulla scuola, l’università e la ricerca laddove lo Stato italiano spende “la metà in rapporto al Pil di quanto fanno i paesi a noi più vicini” collocandosi al penultimo posto nell’Ue per quota di giovani tra i 25 e i 34 anni con un titolo di studio terziario. Investimenti dunque, con un occhio all’ingiustizia sociale, sostiene Visco, che si affida a una citazione di Keynes: “La migliore garanzia di una conclusione rapida è un piano che consenta di resistere a lungo […] un piano concepito in uno spirito di giustizia sociale, un piano che utilizzi un periodo di sacrifici generali non come giustificazione per rinviare riforme desiderabili, ma come un’occasione per procedere più avanti di quanto si sia fatto finora verso una riduzione delle disuguaglianze”.
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Per ripartire Visco accoglie favorevolmente l’intervento della Banca centrale europea e il suo effetto positivo sullo spread italiano – seppur ancora insufficiente visto che è ancora quasi il doppio di quelli di Spagna e Portogallo “su valori che non trovano giustificazione nei fondamentali della nostra economia” – e invita l’Italia e l’Ue a superare pregiudizi e conflitti. Buono il giudizio sul nuovo strumento “Next Generation Eu” (ex Recovery Fund) anche se, sottolinea Visco, i fondi europei non potranno mai essere “gratuiti”, perché “il debito europeo è debito di tutti e l’Italia contribuirà sempre in misura importante al finanziamento delle iniziative comunitarie, perché è la terza economia dell’Unione”, ma un’azione comune, forte e coordinata in merito «potrà contribuire a rilanciare la capacità produttiva e l’occupazione in tutta l’economia europea”.
Urgente dunque affrontare la piaga dell’economia sommersa e dell’evasione fiscale, “ciò che soprattutto ci differenzia dalle altre economia avanzate”. Secondo il governatore della Banca d’Italia bisognare ripensare “la struttura della tassazione, che tenga conto del rinnovamento di sistema di protezione sociale e deve porsi l’obiettivo di ricomporre il carico fiscale a beneficio dei fattori produttivi”. Per Visco “le ingiustizie e i profondi effetti distorsivi che derivano da evasione e sommerso si riverberano sulla capacità di crescere e di innovare delle imprese; generano rendite a scapito dell’efficienza del sistema produttivo”.