Seggi e scuole: anche in Usa si litiga, ma non mancano soluzioni

Seggi e scuole: anche in Usa si litiga, ma non mancano soluzioni
20 giugno 2020

Gli Stati Uniti, per molti, rappresentano un modello politico e culturale. Per questo, sono spesso citati per suffragare le proprie proposte o screditare quelle altrui. Anche nella polemica italiana sul cosiddetto ‘election day’ (a proposito di riferimenti culturali…) del 20 settembre e sul ‘sacrificio’ delle scuole, in molti hanno portato a esempio gli Stati Uniti: chi per ricordare che, lì, le scuole non sono gli unici edifici a ospitare i seggi; chi per sottolineare che gli studenti, lì, non perdono un giorno di lezioni, nemmeno se i loro istituti accolgono le urne elettorali.

A ogni ciclo elettorale, i mass media italiani raccontano con curiosità e spesso invidia il rito statunitense, che si compie, è il caso di dirlo, in ogni possibile luogo, pubblico e privato, che rispetti dei semplici criteri di base, tanto che il sito Slate, anni fa, dedicò – tra il serio e il faceto – un articolo su “Come mettere in piedi un seggio elettorale in casa”. La commissione di assistenza elettorale (Eac), agenzia governativa federale, ricorda che possono diventare seggio elettorale “centri commerciali, negozi di alimentari, centri sociali, biblioteche, edifici governativi, scuole, palestre, chiese, centri congressi, circoli e, infine, case private”, sottolineando, in quest’ultimo caso, che “spesso vengono usati i garage”. Ogni Stato, comunque, agisce poi secondo le proprie regole.

Percentuali precise e affidabili non esistono, ma è indiscutibile che le scuole rappresentino una grossa parte dei seggi elettorali negli Stati Uniti, per vari motivi: sono dislocate in ogni angolo del Paese, hanno spazi adatti – come le mense e le palestre – hanno gli accessi per i disabili e hanno solitamente – particolare non di secondo piano – degli ampi parcheggi. Le scuole sono, per i funzionari che si occupano dello svolgimento delle elezioni, gli edifici migliori per ospitare i seggi, come attestato anche dalla commissione istituita dall’allora presidente Barack Obama per studiare quello che era, e resta, un grave problema: le code ai seggi.

Allo stesso tempo, la commissione registrò che numerosi distretti scolastici cominciavano a negare l’uso delle scuole, lasciando spesso le città con un numero insufficiente di seggi. Insegnanti, presidi e genitori, infatti, non sono entusiasti all’idea che i ragazzi si trovino a contatto con centinaia di sconosciuti, negli edifici scolastici, durante le ore di lezione, senza contare i possibili problemi al regolare svolgimento delle lezioni, tra file ai seggi, volontari delle campagne elettorali all’ingresso, la presenza degli osservatori all’interno e, punto non trascurabile, il maggior traffico in zona. La commissione, nelle sue raccomandazioni a Obama, scrisse che le scuole “dovrebbe essere usate come seggi”, pur comprendendo la necessità di salvaguardare la sicurezza degli studenti.

L’uso delle scuole è in realtà dibattuto da molti anni, almeno dalla strage nella scuola della Columbine del 1999, quando due studenti e le loro armi cambiarono per sempre la percezione degli istituti scolastici come luoghi sicuri. Con la campagna elettorale del 2016 e il clima di tensione, se non di odio, tra i sostenitori di Donald Trump e Hillary Clinton, aumentarono le preoccupazioni per possibili episodi di violenza tra elettori: per questo, molte scuole decisero di cancellare le lezioni dell’8 novembre, giorno delle presidenziali, o di non accogliere più i seggi; la conferma arrivò dalla National School Boards Association, che parlò di casi in molti distretti scolastici del Paese. In seguito, l’associazione rivelò che il 15% dei distretti che avevano ospitato i seggi aveva preferito cancellare le lezioni; inoltre, un terzo dei distretti aveva chiesto di non ospitare i seggi, ricevendo un rifiuto nel 90% dei casi. Nello Stato di New York, molte scuole restano chiuse da anni, anche a New York City, il distretto scolastico più numeroso del Paese, con i suoi 1,1 milioni di studenti.

Quest’anno, con la pandemia di coronavirus, il problema sarà ancora più sentito: in gioco non c’è più solo la sicurezza, ma anche la salute. Per questo, in molti stanno invitando ad approfittare del voto anticipato; ci sono poi gli Stati che, per le primarie, hanno agevolato il voto per corrispondenza. Per i democratici, proprio il voto per posta potrebbe essere la soluzione per le presidenziali; Trump, invece, è fortemente contrario (eufemismo): vincerebbero i democratici, secondo lui (perché barano).

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