Lo stato del Covid-19 in Italia: più casi e ricoveri, ma non è crisi

3 settembre 2020

Aumentano i casi (+37,9%), anche per l’incremento di test, si consolida il trend in aumento delle ospedalizzazioni con sintomi (+30%) e quello dei pazienti in terapia intensiva (+62%). Sono i dati dei contagi di Covid nell’ultima settimana, dal 26 agosto al primo settembre, diffusi della Fondazione Gimbe. Segnali che “vanno tutti nella direzione di una ripresa dell’epidemia nel nostro Paese, sia in termini epidemiologici che di manifestazioni cliniche, alla vigilia del momento cruciale della riapertura delle scuole” sottolinea Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione. L’incremento del rapporto positivi/casi testati è passato dallo 0,8% della settimana del 15-21 luglio al 2,3% della scorsa settimana.

Dal 21 luglio al primo settembre i ricoverati con sintomi sono aumentati da 732 a 1.380 e le terapie intensive da 49 a 107. Numeri ancora esigui – sottolinea Cartabellotta – e che non configurano alcun segnale di sovraccarico dei servizi ospedalieri, ma il trend in costante aumento insieme all’incremento dei contagi invitano a mantenere la guardia molto alta nelle prossime settimane. Dei 26.754 casi attivi al 1 settembre, il 50,2% si concentra in tre Regioni: Lombardia (7.082), Lazio (3.285), Emilia-Romagna (3.061). Un ulteriore 41,9% si distribuisce tra Veneto (2.460), Campania (2.292), Toscana (1.581), Piemonte (1.464), Sicilia (1.152), Puglia (860), Sardegna (837) e Liguria (560). Uno scenario, comunque, ben diverso da quello di mesi fa, con terapie intensive al collasso e centinaia di morti al giorno. Da tempo, invece, il numero dei decessi è intorno o sotto a 10 al giorno.

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E’ molto cambiato anche il sistema di tracciamento e test. Più tamponi, test rapidi e isolamento dei focolai. Altra differenza importante: le persone testate non sono più solo quelle con sintomi, poiché si tracciano e si cercano gli asintomatici. Sul fronte vaccino, invece, se il ministro della Salute Roberto Speranza ha annunciato le prime dosi di quello anche italiano entro il 2020, il professor Andrea Crisanti, ordinario di microbiologia all’Università di Padova, frena: “Un vaccino è una cosa estremamente complicata, purtroppo non ha tempi comprimibili. Un vaccino viene dato a persone che stanno bene, quindi devono stare bene prima e anche dopo. Noi siamo tutti differenti: geneticamente, per sesso, per età, per etnia o anche per malattie sottostanti. La fase cosiddetta di sicurezza di un vaccino dura circa un anno e mezzo o due solo quella, perché bisogna darlo a circa centomila persone in tutto il mondo”.

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