Vertice Ue duro su negoziato su bilancio 2021-2027 con Europarlamento

17 ottobre 2020

La discussione fra i leader dell’Ue al Consiglio europeo di giovedì e ieri a Bruxelles ha chiarito che nel negoziato in corso con il Parlamento europeo sul quadro pluriennale di bilancio 2021-2027, non c’è margine per incrementare gli impegni di spesa in modo da non ridurre i finanziamenti a programmi-faro come “Horizon” (ricerca) ed Erasmus, come invece vorrebbero gli eurodeputati. Non c’è alcun appetito fra i leader per riaprire l’accordo da 1.800 miliardi sul bilancio e sul Recovery Fund, che era stato negoziato al Consiglio europeo di luglio per quattro giorni e tre notti. Ma non è escluso che si trovi qualche “soluzione tecnica” immaginativa per riuscire ad aumentare comunque la dotazione finanziaria di alcuni programmi-faro, come ha suggerito ieri sera il premier italiano Giuseppe Conte, possibilmente senza toccare i massimali complessivi.

La discussione in Consiglio europeo, non prevista dall’agenda su questo punto, è stata innescata, in modo irrituale, dall’intervento preliminare del presidente del Parlamento europeo David Sassoli, che ha ovviamente colto l’occasione per ricordare le posizioni dell’Assemblea sul bilancio pluriennale. Ma tutti i leader intervenuti hanno poi sostenuto la proposta di compromesso della presidenza tedesca, già respinta dagli eurodeputati, che prevede uno spostamento interno fra le poste di bilancio di circa 9 miliardi di euro. “Ora dobbiamo mettere in atto i risultati di luglio. È molto complesso. Abbiamo sottolineato che le deliberazioni sul bilancio pluriennale devono fare progressi molto rapidamente, perché tutto è legato, bilancio e Recovery Fund”, ha detto la cancelliera tedesca Angela Merkel nella sua conferenza stampa oggi al termine del vertice.

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“Non sarà possibile avere un voto all’unanimità nel Consiglio sul Recovery Fund senza conoscere le cifre precise del bilancio pluriennale e il pacchetto che comprende la clausola sullo stato di diritto”, ha avvertito Merkel. E ha concluso: “Noi siamo pronti a negoziare, e pensiamo tutti che nei prossimi giorni e settimane a venire dovremo metterci d’accordo”. Il Consiglio europeo, come era scontato, non ha preso decisioni formali importanti, ma ha segnato senza dubbio una vistosa svolta almeno in un ambito: i negoziati sulle relazioni future con il Regno Unito dopo la Brexit. La svolta sulla Brexit è tangibile soprattutto nel tono dei leader europei, diventato più duro e determinato, così come nel loro atteggiamento, rimasto assolutamente compatto; a dimostrazione che non ha funzionato la tattica divisiva britannica, volta a strumentalizzare la questione della pesca per creare una frattura nella posizione negoziale unitaria dei ventisette, magistralmente difesa dal negoziatore capo Michel Barnier.

A questo punto è chiaro, in primis al capo negoziatore britannico David Frost e al premier Boris Johnson, che i ventisette sono pronti a un “no-deal” piuttosto che accettare un “bad deal”, un cattivo accordo riguardo a ciascuno dei tre punti su cui le divergenze sono rimaste finora incolmabili: oltre alla pesca, le “pari condizioni” (il “level playing field”) per quanto riguarda le norme del mercato unico, concorrenza e aiuti di stato, e poi la “governance”, ovvero il meccanismo di risoluzione di eventuali controversie nell’attuazione degli eventuali accordi futuri. Deludendo le aspettative britanniche, tutti gli stati membri, compresi i tre più esposti all’impatto negativo di un no-deal (Irlanda, Belgio e Olanda), hanno sottoscritto questa posizione.

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Per sottolineare questa nuova fermezza e determinazione, i ventisette hanno persino concordato di eliminare una parola importante che era presente nella bozza delle conclusioni del consiglio: l’invito a Barnier a continuare i negoziati non specifica più, nella versione finale delle conclusioni, “in modo intensivo”. E’ un altro modo di dire che si vuole l’accordo, ma “non a qualunque prezzo”, come hanno ripetuto nei giorni scorsi tutti i leader europei, e che l’avvicinarsi della scadenza (quella “soft” di metà novembre, al massimo, per chiudere le trattative, e quella “hard” del 31 dicembre per l’uscita del Regno Unito dal mercato unico) non può giustificare un cedimento sui punti considerati non negoziabili.

Il sostegno unanime dei ventisette al mandato negoziale originario, che appariva abbastanza scontato a causa del suo valore strategico fondamentale, è stato rafforzato, a quanto pare, dalle argomentazioni convincenti che hanno fornito i due francesi presenti alla discussione del consiglio europeo, Michel Barnier e il presidente Emmanuel Macron, per spiegare perché è essenziale non cedere su nessuno dei tre nodi fondamentali, e in particolare sulla pesca. Che non è solo una questione di solidarietà degli altri paesi nei confronti della Francia e degli altri sette-otto paesi interessati all’accesso alle acque britanniche, ma un punto di principio giusto, legittimo e importante quanto il “level playing field”.

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