Svolta M5S, con Conte ma cade veto su Renzi. E la fronda riparte

Svolta M5S, con Conte ma cade veto su Renzi. E la fronda riparte
Alessandro Di Battista
30 gennaio 2021

Movimento 5 stelle nuovamente in preda alle tensioni interne dopo il fallimento dell’operazione “costruttori” per sostituire i senatori sottratti alla maggioranza dal leader di Italia viva Matteo Renzi. Nelle consultazioni al Quirinale il capo politico (ormai lungoreggente) Vito Crimi, accompagnato dai capigruppo parlamentari Ettore Licheri e Davide Crippa, porta la linea dei difensori della legislatura, che chiedono a gran voce di fare qualunque cosa, compreso accettare il rientro di Iv in maggioranza, per non rischiare le elezioni. Quasi in contemporanea arrivano i no dell’ala critica. Sono diverse le voci che si ribellano alla pace con Renzi, la più sonora è quella di Alessandro Di Battista, impopolare fra i parlamentari in carica ma ancora molto seguito fra attivisti e simpatizzanti.

Toccherà quindi a Roberto Fico, “esploratore” incaricato dal presidente Mattarella, ma anche storico volto della squadra di Beppe Grillo, garantire non solo la effettiva praticabilità di una ricucitura fra le forze di maggioranza, ma anche che i 5 stelle arrivino passabilmente compatti al nuovo passaggio compiuto, come rivendica Crimi, in nome della “responsabilità” e degli “interessi del Paese”. “Durante le consultazioni – annuncia Crimi dal Colle, ribadendo l’indicazione del M5S per Giuseppe Conte – abbiamo espresso la nostra disponibilità a confrontarci con chi intende dare risposte concrete nell’interesse del Paese, con spirito collaborativo, per un governo politico che parta dalle forze di maggioranza che hanno lavorato in questo anno e mezzo ma con un patto di legislatura chiaro davanti ai cittadini, e che sia affrontato con lealtà”. La “lealtà” è apparentemente l’unica condizione posta al rientro di Iv.

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A sostegno di Crimi una batteria di dichiarazioni di parlamentari, ma il primo ad esprimersi è Emilio Carelli, uno dei riferimenti dell’area “governista”. “Il M5s – scrive su Twitter – ha definito la linea per il Colle: no a veti su Italia viva ma avanti con Giuseppe Conte”. Sull’altro fronte Barbara Lezzi, ex ministra del Conte 1 ed esponente di spicco dell’area Di Battista, aveva già affidato al Corriere della sera la sua diffida preventiva: “Non darei la fiducia a un altro governo con Renzi, per di più potenziato da questa crisi”. Il commento alla posizione espressa al Colle è immediato: “è un repentino cambio di linea al quale, per essere legittimato, deve seguire un voto degli iscritti. I due governi formati dal 2018 hanno visto centrale il voto dei nostri iscritti. Anche in questo caso è necessario”. Sprezzante Nicola Morra, esponente della vecchia guardia, presidente della commissione antimafia, soprattutto un altro senatore il cui voto servirebbe alla rinata maggioranza: “Leggo – commenta – che siamo più dorotei dei dorotei. Io no!”.

Ma se il dissenso interno è destinato a diventare qualcosa di diverso dipende in sostanza da Di Battista, che al momento non rischia nulla (aveva aperto all’ipotesi di “dare una mano” accettando un posto da ministro, ma non è deputato) e che in teoria potrebbe anche tentare la via della scissione e di una futura lista di “ortodossi” per restituire agli elettori lo spirito del Movimento delle origini. “Tornare a sedersi con Renzi”, avverte, “significa rimettersi nelle mani di un ‘accoltellatore’ professionista che, sentendosi addirittura più potente di prima, aumenterà il numero di coltellate”. La conclusione è chiara, o forse no: “Se il Movimento dovesse tornare alla linea precedente io ci sono. Altrimenti arrivederci e grazie”. Se questo arrivederci si tradurrà in un nuovo passo indietro rispetto al dibattito interno nel quale è stato nuovamente coinvolto in questa fase po se addirittura va intesa come minaccia di una scissione, non è chiarissimo per ora.

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In teoria, i numeri della “corrente” dibattistiana (al Senato, dove conta ogni singolo voto) andrebbero calcolati in base ai firmatari della lettera dei primi di dicembre contro la riforma del Mes. Inizialmente 16 senatori oltre a una trentina di deputati, poi qualcuno ritirò la firma, qualcun altro ridimensionò la portata del dissenso. “Non vanno da nessuna parte, ci sono 210 miliardi da distribuire, vedrai che ognuno di questi avrà qualcosina da chiedere per il suo collegio e per i suoi elettori”, dice una fonte parlamentare legata alla linea ufficiale del M5S. “Non so quanti” è invece la laconica replica che giunge dall’area opposta, quella del no a Renzi, alla domanda su quanti senatori effettivamente potrebbero arrivare a far mancare la fiducia alla maggioranza eventualmente ricucita com’era. Ma fra le dichiarazioni e la decisione finale ci sono giorni di trattative. Di riflessioni sul futuro e di equilibri (e nomi) da discutere per il possibile nuovo governo. C’è tempo.

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