“L’assemblea congiunta di deputati e senatori M5S? Non si decide nulla, è uno sfogatoio. Utile come un paio di belle tette su un cinghiale”. La citazione cinematografica (Martin Scorsese, Casinò, 1990) viene da un parlamentare dell’opposizione interna: che scruta con questo spirito di fremente attesa le decisioni dei vertici sull’ultima possibile riunione per scongiurare la rottura definitiva fra pro-Draghi e no-Draghi. Del resto, il clima di fraterna condivisione è rappresentato anche dal commento di un senatore della maggioranza interna sulla insistenza di Davide Casaleggio, presidente dell’Associazione Rousseau, sulla possibilità di consentire ai dissidenti una astensione nel voto di fiducia: “Una minchia di mare”, sintetizza l’esponente pro-Draghi.
Il leader mancato degli oppositori, Alessandro Di Battista, continua a battere sui temi politici senza entrare direttamente nello scontro interno. In uno dei suoi articoli per Tpi.it propone i medici cubani che soccorrono le popolazioni povere al Nobel per la pace e lancia l’idea di una struttura pubblica europea di produzione di farmaci e vaccini. Chi la vuole è il vero europeista, argomenta, gli altri sono “sudditi”. L’ex ministra Barbara Lezzi, tra i più esposti del fronte del no, sbeffeggia invece i colleghi di gruppo rilanciando la richiesta del numero due di Forza Italia, Antonio Tajani, di sostituire il commissario governativo Domenico Arcuri con l’icona dei berlusconiani Guido Bertolaso: è “restaurazione – commenta – ma per qualche collega c’è già la certezza di ‘poter lavorare bene con Forza Italia’”.
La situazione sul terreno è molto incerta. Nel gruppo della Camera è di relativa tranquillità, i delusi sono molti ma al dunque i voti o le assenze contro Draghi non dovrebbero essere troppo numerosi. Tutt’altro discorso al Senato, dove “di riunioni se ne fanno anche troppe, qui siamo in riunione continua” ma è impossibile fare una valutazione affidabile sugli esiti, racconta uno dei ribelli di palazzo Madama. “I numeri sinceramente – spiega – chi li spara li spara a caso, ogni minuto cambiano le cose, bisogna aspettare il voto e bisogna aspettare che cosa dirà il presidente Draghi”. In ogni caso, dice un eletto dell’ala “governista”, “al Senato se più di mezzo gruppo non vota la fiducia è chiaro che ti indebolisce”. E c’è ancora la partita dei sottosegretari da giocare, un M5S spaccato in due tronconi certamente avrebbe meno voce in capitolo, come ha fatto notare lo stesso capo politico Vito Crimi ai suoi colleghi di gruppo qualche giorno fa. Non fa strada, per ora, il lodo promosso dal deputato barese Giuseppe Brescia che ripropone su Rainews una fiducia “con riserva” e minaccia ostruzionismo se la maggioranza dovesse attaccare le “conquiste” del Movimento.
“Escludo di votare a favore”, è la posizione tutt’altro che ambigua sulla fiducia a Draghi espressa in un talk show di La7 da Nicola Morra, uno dei big della prima ora del Movimento, un tempo nel cuore di Grillo e di Casaleggio padre, i “fondatori”. Nemmeno l’addio al Movimento è escluso: “Dovrò valutare”, avverte, anche se “mi sento M5S fino al midollo”. Per Morra l’astensione, magari non di tutto il gruppo, è ancora praticabile per ricucire lo strappo interno, “permettendo che questa esperienza governativa possa partire”. Tra gli irriducibili, che alla ricucitura non credono, si iscrive invece il deputato sardo Pino Cabras: “Il riposizionamento della Lega intorno alle esigenze della Lega nord è avvenuto in 48 ore e noi siamo qui a inseguire i sogni di governo di Crimi. Non si curano del dissenso, non si pongono il problema di rappresentare il mondo reale degli iscritti. Il nostro popolo rimane noi e lo vogliamo rappresentare”.
Ma nello scontro più lacerante da quando il Movimento 5 stelle è nato, come si stanno muovendo i vertici? Le fonti dei due campi contrapposti convergono su una analisi comune: si lavora al più a ridurre il danno da uscite o espulsioni, inevitabili per chi voterà contro e nessun terreno reale di mediazione è praticato (come l’astensione proposta da Casaleggio e rilanciata da Morra). “E’ un gruppo dirigente refrattario a qualsiasi mediazione”, accusa uno dei ribelli di Montecitorio. “Alla fine la gran parte ripiegherà sul mugugno e magari qualcuno si beccherà un posto da sottosegretario”, commentano dal fronte opposto. Ma la linea ufficiale nega questa visione, pur condivisa da fonti di diverso orientamento: “Si cerca di convincere – dicono dai piani alti del M5S – chi oggi ha una forte posizione per il no sul fatto che essere al governo ci consente di essere presenti e determinanti nelle scelte per tutelare i risultati raggiunti. Si cerca di praticare qualunque iniziativa utile a riportare unità nel gruppo”.