Le tensioni dei giorni scorsi sulla Spianata delle moschee a Gerusalemme Est si sono trasformate nel giro di qualche ora in un vero e proprio conflitto armato. E’ stata una notte di combattimenti quella appena trascorsa nella regione. Israele ha preso di mira i movimenti islamici palestinesi nella Striscia di Gaza con una serie di raid mirati: contro Hamas, innanzitutto, ma anche ai danni della Jihad Islamica. E questi hanno bombardato le città del Sud d’Israele – Ashkelon e Ashdod – con una pioggia di razzi Qassam. Oltre 250 quelli lanciati contro lo Stato ebraico, che ha replicato colpendo più di 130 obiettivi militari nell’enclave palestinese. Almeno 24 le vittime nella Striscia. Ma non si tratta solo di militanti islamici. Se infatti le Brigate al Quds, braccio armato della Jihad islamica, lamentano la morte di due suoi comandanti, e Hamas ha perso 15 suoi combattenti, anche i civili hanno pagato dazio all’escalation delle violenze: nove i bambini uccisi, centinaia i civili feriti. Oltre 700, in tutto, se si contano le persone rimaste coinvolte negli scontri degli ultimi tre giorni a Gerusalemme.
Quanto a Israele, l’esercito ha confermato che gli attacchi contro le sue città più meridionali è proseguito anche nelle ultime ore. Ad Ashkelon le sirene di allarme si sono attivate più volte in mattinata. Un razzo palestinese ha colpito un condominio e sei persone sono rimaste ferite: quattro apparterrebbero a uno stesso nucleo familiare e una sarebbe in gravi condizioni. Non diversa la situazione ad Ashdod, dovee almeno 30 civili sono rimasti feriti in un altro attacco da Gaza. Tutte le persone coinvolte sono state ricoverate al Barzilai Medical Center e, anche in questo caso, una verserebbe in condizioni critiche. Hamas ha minacciato di trasformare la città di Ashkelon in un “inferno” se l’esercito dello Stato ebraico non metterà fine ai suoi attacchi contro i palestinesi. Secondo il Times of Israel, tra gli obiettivi colpiti dall’aviazione israeliana ci sono la casa di un alto comandante di Hamas, il quartier generale dell’intelligence dello stesso movimento islamista, due tunnel in prossimità della barriera di sicurezza e alcuni siti di produzione e stocaggio di razzi artigianali. “Se Israele proseguirà i suoi attacchi, trasformeremo Ashkelon in un inferno”, ha detto Abu Ubaidah, portavoce militare dell’ala militare del movimento, citato dal quotidiano Haaretz.
In risposta alle minacce palestinesi, l’esercito israeliano ha deciso di rafforzare la sua presenza al confine con la Striscia di Gaza, schierando alcune batterie d’artiglieria pronte al combattimento. Manovre militari che, secondo la stampa locale, confermerebbero l’intenzione di Israele di prepararsi a un conflitto di più ampio respiro. E in questa direzione andrebbe anche la decisione del ministro degli Esteri Benny Gantz di autorizzare il richiamo di almeno 5.000 riservisti dell’esercito. Si tratta di personale da impiegare in unità specifiche, tra cui il Comando del Fronte Sud, che si trova a diretto contatto con la Striscia di Gaza, il Comando del Fronte interno e la Direzione delle operazioni militari. Intanto le principali cancellerie del mondo sono al lavoro nel tentativo di stemperare le tensioni. “Profonda preoccupazione” per l’escalation delle violenze è stata espressa dall’Agenzia Onu per i diritti umani. “Condanniamo ogni violenza e ogni istigazione alla violenza e alla divisione etnica e alle provocazioni”, ha detto ai giornalisti a Ginevra il portavoce dell’Agenzia Onu per i diritti umani, Rupert Colville. Stati Uniti, Unione Europea e Regno Unito hanno esortato Israele e palestinesi a porre fine allo scontro il prima possibile.
Il segretario di Stato americano Antony Blinken ha detto che Hamas deve fermare “immediatamente” gli attacchi missilistici e che “tutte le parti devono ridurre la tensione”. La portavoce della Casa Bianca Jen Psaki, da parte sua, ha spiegato che il presidente degli Stati Uniti Joe Biden è seriamente preoccupato per le violenze in corso. In un tweet, il ministro degli Esteri britannico Dominic Raab ha affermato invece che gli attacchi missilistici “devono cessare”. Raab, in particolare, ha chiesto “la fine degli attacchi alle popolazioni civili”. L’Alto rappresentante Ue per la Politica estera, Josep Borrell, ha spiegato che “il significativo aumento della violenza” in Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme est “deve cessare immediatamente”. “Il lancio di razzi da Gaza contro le popolazioni civili in Israele è del tutto inaccettabile e alimenta dinamiche di escalation”, ha detto il portavoce del capo della diplomazia europea. Gli Usa hanno comunque bloccato una dichiarazione congiunta del Consiglio di sicurezza dell’Onu, ritenendo che non fosse “utile” in questa fase e confermando di essere impegnati “dietro le quinte” nel tentativo di ottenere una de-escalation. I diplomatici Usa al Palazzo di Vetro hanno spiegato ai 14 partner del Consiglio, durante una videoconferenza a porte chiuse, che intendono “lavorare dietro le quinte” per calmare la situazione, precisando di “non essere sicuri che in questa fase una dichiarazione sarebbe di aiuto”. “Gli Stati Uniti sono costruttivamente impegnati a far sì che ogni azione del Consiglio di sicurezza contribuisca ad allentare le tensioni”, si è limitato ad indicare un portavoce della missione americana all’Onu.
Durante l’incontro, tenutosi su richiesta di Tunisi, Norvegia, Tunisia e Cina hanno presentato una bozza di dichiarazione che invitava “Israele a fermare le attività di colonizzazione, demolizione ed espulsione” dei palestinesi, “anche a Gerusalemme Est”. In questo documento ottenuto dall’Afp, il Consiglio avrebbe espresso anche “la sua grave preoccupazione per le crescenti tensioni e violenze nella Cisgiordania occupata, compresa Gerusalemme est”. Nel testo si sottolineava “l’importanza” per tutte le parti “di astenersi dall’adottare misure unilaterali che inaspriscono le tensioni e minano la fattibilità della soluzione dei due Stati”. E si sarebbe richiesto a tutte le parti di “esercitare moderazione, astenersi da ogni provocazione e retorica, e mantenere e rispettare lo status quo storico nei luoghi santi”. Sulla crisi in Medio Oriente è intervenuta anche la Russia, pronta a partecipare a una riunione del Quartetto sul Medio Oriente in qualsiasi momento. Il ministro degli Esteri Sergey Lavrov discuterà di questa eventualità con il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres, in visita a Mosca da domani al 14 maggio. “Siamo pronti per una riunione ministeriale, sosteniamo attivamente l’idea. Antonio Guterres verrà presto a Mosca, coordina la convocazione. Gli diciamo sempre: proviamo a organizzare la riunione, ma dipende dalla prontezza degli americani, di Blinken, dal momento che Sergey Vikotorovich Lavrov è pronto a prendere parte a un simile incontro in qualsiasi momento”, ha detto una fonte del ministero degli Esteri russo. askanews