Jobt Act, sindacati in piazza. “E’ una Sicilia allo stremo”

Jobt Act, sindacati in piazza. “E’ una Sicilia allo stremo”
12 dicembre 2014

“E’ una Sicilia allo stremo quella in cui oggi si tengono lo sciopero generale di Cgil e Uil e le 10 manifestazioni provinciali organizzate dai sindacati. Gli anni della crisi sono costati cari a una regione che gia’ in tema di occupazione scontava un gap col resto del paese”. Cosi’ in una nota la Cgil Sicilia. Secondo i dati forniti dalla Cgil regionale, dal 2008 a oggi sono andati in fumo 211 mila posti di lavoro. Solo nel secondo trimestre del 2014 se ne sono persi 38 mila, 28 mila dei quali nei servizi. Il manifatturiero ha perduto il 40% della sua consistenza, gli investimenti sono calati del 15% e altrettanto i consumi. Da una regione con il 53,8% di giovani disoccupati e’ ripresa l’emigrazione con un ritmo di 12.500 persone l’anno. “Qui d’altronde, nonostante anche il numero impressionante di scoraggiati, quei 342 mila Neet, che non studiano ne’ lavorano – dice il segretario generale della Cgil Sicilia, Michele Pagliaro, che manifesterà a Siracusa – e a fronte delle politiche fallimentari del governo nazionale, la regione non e’ riuscita finora neanche a spendere i 342 milioni di euro di fondi europei disponibili per le politiche giovanili”. Un quadro, insomma a tinte fosche, al quale si aggiungono i 70 mila disoccupati dell’edilizia, i 142 mila precari tra settori pubblici e privati, le migliaia di posti di lavoro in bilico, come quelli nei call center.

In piazza anche la Uil che chiede “risposte concrete per i precari siciliani, per i lavoratori dei call center, dell’edilizia, dell’industria e per i nostri giovani che non posso avere come unica prospettiva la disoccupazione, l’emigrazione o l’assistenzialismo”. Per il segretario della Uil Sicilia, Claudio Barone, “il Jobs act toglie tutele ma non crea occupazione aggiuntiva”. “Disegna un Paese che non cresce  – aggiunge – e aumenta le disuguaglianze. Per questo siamo in piazza per lo sciopero generale”. In sostanza, “Renzi deve scegliere se ascoltare i lavoratori e chi li rappresenta, la parte sana del Paese, oppure se cercare il consenso nella Terra di Mezzo con l’assistenzialismo, la clientela e la corruzione”. Per Barone, “senza correttivi anche norme apparentemente positive, come per esempio l’abolizione dei contratti di programma, porterebbero nell’Isola al licenziamento di circa ventimila lavoratori outbound dei call center”. Insomma, “lo sciopero non e’ contro il Governo ma per risolvere, con proposte concrete, i problemi veri della gente”.

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