Caccia al boss Matteo Messina Denaro, perquisizioni in Sicilia

1 ottobre 2021

Caccia al boss latitante Matteo Messina Denaro. Decine di perquisizioni nella Valle del Belice, su ordine della Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo. Un’imponente operazione con oltre 150 agenti della squadra mobile di Trapani, Palermo e Agrigento e dei reparti prevenzione Crimine di Sicilia e Calabria. Sul posto anche elicotteri e unità cinofile. Si cercano in particolare sospetti fiancheggiatori del boss, per i loro trascorsi criminali e la vicinanza o contiguità alle famiglie mafiose trapanesi e agrigentine. Le ricerche si concentrano nelle località di Castelvetrano, Campobello di Mazara, Santa Ninfa, Partanna, Mazara del Vallo, Santa Margherita Belice e Roccamena (Palermo).

“U’ siccu” (il magro), “Diabolik”, “Alessio”: sono tutti appellativi per indicare colui che da 28 anni sembra essere divenuto un fantasma: Matteo Messina Denaro, il numero 1 di Cosa nostra cresciuto all’ombra dei grandi boss corleonesi, e che ancor giovanissimo si vantava dicendo di avere ucciso così tante persone da “poter riempire un cimitero”. Oggi 59enne, Matteo Messina Denaro è figlio del boss di Castelvetrano Francesco, morto latitante nel 1998, e figura tra i latitanti più ricercati del mondo. Di lui hanno parlato decine di collaboratori di giustizia, definendone la statura criminale e l’efferatezza, e indicandone il coinvolgimento in praticamente tutte le pagine più oscure della storia recente del Paese: dagli attentati ai giudici Falcone e Borsellino, alle bombe che insanguinarono l’Italia nel biennio ’92-’93 passando per l’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio del pentito Santino, strangolato e sciolto nell’acido nel 1996 dopo 779 giorni di prigionia.

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Fedelissimo di Totò Riina, dopo l’arresto del “capo dei capi” Matteo Messina Denaro avviò una fitta corrispondenza di “pizzini” con Bernardo Provenzano. Messaggi in cui la “primula rossa” castelvetranese dichiarava il suo affetto e chiedeva consigli utili su come gestire il potere mafioso sul suo territorio. L’arresto di Provenzano, nel 2006, e dei Lo Piccolo un anno dopo, diedero un ulteriore slancio alla scalata criminale di Matteo Messina Denaro di cui già si erano perse le tracce dall’estate del 1993. La sua ultima uscita accertata risale infatti ad una vacanza a Forte dei Marmi insieme ai fratelli Filippo e Giuseppe Graviano boss di Brancaccio. Da 28 anni nei suoi confronti pende un mandato di cattura per associazione mafiosa, omicidio, strage, devastazione, detenzione e porto di materiale esplosivo, furto e altri reati minori.

Nonostante le numerose inchieste che in questi tre decenni hanno fatto luce sulla sua rete di fiancheggiatori, sempre pronta a rigenerarsi, regna ancora incertezza su dove si possa effettivamente trovare. Secondo alcuni collaboratori vivrebbe in Sicilia, spostandosi di continuo sul territorio; secondo altri gestirebbe da lontano la sua latitanza e il suo potere. Ad alimentare l’alone di mistero su di lui ci sono anche i racconti di chi parla di interventi chirurgici al viso e ai polpastrelli per rendersi ulteriormente irriconoscibile; e di chi dice che goda della protezione dalla ‘ndrangheta.

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Padre di una ragazza che da lui ha preso le distanze, Matteo Messina Denaro soffre di un forte strabismo. Il suo identikit con gli occhiali fumè è stato aggiornato più volte negli anni partendo dalle foto risalenti a prima della latitanza e ai racconti di chi lo ha incontrato. Più recentemente sono emersi un nastro in cui è incisa la sua voce, registrata nel corso di un’udienza di un processo del ’93; e alcuni frame di un’auto, immortalata nelle campagne di Agrigento, a bordo della quale si vedono due uomini, uno dei quali sarebbe proprio lui.

Non si sa molto neanche dello stile di vita assunto nel corso del tempo dal padrino una volta sicuramente amante del lusso, delle donne e dei viaggi. Un’immagine lontana da quella dei padrini rinchiusi in casolari di campagna a mangiare ricotta e cicoria. Di sicuro è sconfinato il tesoro accumulato da Matteo Messina Denaro. Miliardi di euro secondo gli inquirenti, frutto delle innumerevoli attività illecite che lo vedono fare business. Capitali reinvestiti in reti di grande distribuzione, società edili e parchi per la produzione di energie rinnovabili. Centinaia sono stati negli anni i beni mobili e immobili riconducibili al latitante e sequestrati.

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