Un “successo” che “non è stato facile” raggiungere, ma che rappresenta un primo passo con impegni “più seri” e “concreti” rispetto al passato. Mario Draghi è arrivato nell’auditorium della Nuvola poco dopo le 17 per la conferenza stampa conclusiva del Summit G20, difendendo a spada tratta la dichiarazione finale che ha messo a dura prova gli sherpa impegnati, anche per tutta la notte scorsa, a cercare un’intesa in particolare sulla questione climatica. Un tema sensibile, su cui lo stesso Draghi stamani, intervenendo durante i lavori, ha ammesso che ci sono “visioni differenti”, in particolare da parte dei Paesi emergenti.
In effetti, riportano fonti vicine alla trattativa, la ricerca di un’intesa è stata molto faticosa e lo stesso Draghi è intervenuto in prima persona nella mediazione. Non a caso, questa mattina, nel momento in cui le delegazioni ancora lavoravano alla bozza, con un rischio alto di rottura, il premier ha utilizzato parole nette per richiamare i leader a un maggiore impegno. Dopo l’accordo di Parigi, ha evidenziato, “i passi fatti fino a ora sono stati insufficienti” ma “dobbiamo mettere in atto immediati, rapidi e consistenti tagli di emissioni per evitare conseguenze disastrose”. Dunque se è necessario “ascoltare” le “preoccupazioni” dei Paesi emergenti, queste non devono portare a “sacrificare le nostre ambizioni collettive”. Alla fine l’accordo mette nero su bianco una mediazione oltre la quale non è stato possibile andare.
L’importante, per Draghi, è che “per la prima volta i Paesi del G20 si sono impegnati a mantenere l’obiettivo di contenere il riscaldamento in 1,5 gradi con una serie di azioni”. E se è vero che per l’obiettivo delle emissioni zero non è stata fissata una data precisa “rispetto alla situazione precedente l’impegno è un pochino più verso il 2050”. Inoltre c’è “qualche forma di impegno non netto, ma molto probabile, a fare in modo che siano molto limitate le nuove centrali a carbone”, oltre che la fine del “finanziamento all’energia a carbone non abbattuta”, con passi avanti fatti anche da Paesi come Cina e India. In definitiva, per il presidente del Consiglio, i giovani “dicono che sono stanchi di questo bla bla bla: penso che questo vertice abbia riempito di sostanza le nostre parole ma siamo consapevoli che la nostra credibilità dipende dalle nostre azioni”.
Se di “successo” si può parlare si vedrà nei prossimi mesi (ma in parte già da domani alla Cop26 di Glasgow). Quel che è certo è invece il successo personale del premier, che ha incassato le lodi pubbliche dei leader: da Joe Biden che lo elogiato per il “lavoro eccezionale” a Emmanuel Macron che ne ha lodato l’efficacia, da Boris Johnson all’indiano Modi all’olandese Rutte, fino al presidente turco Erdogan, che dopo il prima faccia a faccia dal gelo per la definizione di “dittatore” parla di “rapporti molto buoni”. Un buon viatico per ritagliarsi il ruolo di erede di Angela Merkel (omaggiata oggi con un pubblico riconoscimento e un mazzo di fiori) su cui però Draghi, pubblicamente, si schermisce. “Ascoltare le ragioni di tutti. Questo – ha detto in conferenza stampa – è il ruolo che stiamo cercando di giocare come Italia, spero di aver fatto la differenza. Se adesso abbiamo una influenza internazionale enorme rispetto al passato? Non voglio fare confronti, non è una domanda che pongo a me stesso, io lavoro per il bene comune”. askanews