Il gong suona al settimo round, la spugna di Matteo Salvini vola sul tappeto: l’aspirante kingmaker si arrende e accetta il bis di Sergio Mattarella. Prima di arrivare a questo esito, il segretario leghista ha visto disintegrarsi la coalizione di cui era il leader, bruciando via via candidati, oscillando tra prove di forza col centrodestra e tentativi di riedizioni giallo-verdi con una parte del M5s. Esperimenti tutti falliti inesorabilmente, anche i tentativi in extremis, buttando nella mischia Cartabia e finanche un ministro tecnico come Cingolani. Fino a quando sul tavolo restava solo l’opzione Pier Ferdinando Casini: impossibile per la Lega, hanno sentenziato gli esponenti della vecchia guardia e i governatori delle Regioni. Inevitabile la virata sul bis di Mattarella e la successiva maratona in tv per provare a rivendicarne il merito.
E provare a reggere alle bordate di Giorgia Meloni: “Non ci voglio credere”, è stata la reazione della presidente di Fratelli d’Italia all’annuncio della svolta su Mattarella. La leader di Fratelli d’Italia si è subito offerta come il punto di riferimento di tutta l’area: “Credo sia una responsabilità di FdI salvare la faccia alle decine di milioni di italiani che votano centrodestra”, dopo che “gli altri non hanno creduto” alla possibilità di eleggere un presidente di centrodestra. Ora bisogna “rifondare” la coalizione, ma prima affonda il coltello nella piaga: “Il no a Mattarella era l’unica cosa su cui eravamo tutti d’accordo…”. Anche Salvini parla di “riflessione necessaria” sulla coalizione, e con Meloni si oppone al proporzionale: “No a minestroni e frittatoni”. Il duello sulla leadership proseguirà, intanto c’è da regolare i conti al centro: “Il centrodestra c’è ancora, bisogna capire chi ne fa parte”, dice il segretario leghista attaccando ancora i centristi e “i 40 di Forza Italia che hanno votato contro Casellati”.
Ma i problemi non sono nella coalizione, anche nel partito lo sbandamento è avvertito: le liturgie della Lega non prevedono messe in discussioni palesi del segretario in carica, ma la gestione della partita Quirinale si conclude “con il sogno di fare il kingmaker infranto e la coalizione con cui da 30 anni governiamo Regioni e Comuni disintegrata”, dice uno dei grandi elettori. “Ora aspettiamo che si posi la polvere, poi qualcosa dovrà essere riaggiustato”, aggiungeva un altro parlamentare. Ma in realtà la polvere non fa in tempo a posarsi che poco dopo la virata su Mattarella arrivano le notizie su Giancarlo Giorgetti, che valuta le dimissioni da ministro. Non solo per gli attacchi dagli alleati (“Non è che ogni crisi aziendale può essere colpa mia”, spiega nel pomeriggio) ma anche per la mancata “valorizzazione” del lavoro al ministero da parte del suo stesso partito, spiegano fonti parlamentari.
Con un anno difficile davanti, il ministro fa capire che non può essere il parafulmine anche per gli attacchi di una Lega di lotta, degli esponenti del nuovo corso verso i quali da tempo la “Lega dei territori” mostra insofferenza, tra atteggiamenti No vax e posizioni anti euro che di sicuro non trovano il favore dei ceti produttivi del Nord. L’obiettivo del ministro è chiarire che, soprattutto in vista della campagna elettorale, al governo ci si deve stare nel modo giusto. Tanto più che Giorgetti avrebbe voluto il trasloco di Draghi al Quirinale, e magari risolvere così la questione governo. Ecco allora che il segretario e il ministro si chiudono per un’ora faccia a faccia, e al termine è Giorgetti a diffondere un comunicato in cui chiede un “cambio di passo” sul governo e un incontro a tre con Draghi. Lo avrebbero voluto subito, ma il premier è in Umbria, se ne parlerà da lunedì. Poi il segretario e il ministro si offrono insieme ai giornalisti, Salvini dà ragione a Giorgetti sulla necessità di un “cambio di registro”. Dopo mesi di tensioni sottotraccia, la “Lega dei territori” prova dunque l’ennesimo tentativo di riaggiustare la traiettora del Carroccio. Necessario tanto più, ragiona un parlamentare vicino al ministro, che “ora che il centrodestra è esploso dovremo essere in grado di tenere anche al centro, non possiamo solo schiacciarci su una rincorsa a destra con la Meloni”.