Con “rammarico”, ma papa Francesco ha deciso di non vedere, almeno per ora, il patriarca di Mosca e di tutte le Russie. Danno collaterale di una guerra che sta causando un disastro umanitario ben più grave, e tuttavia anche l’annullamento dell’incontro, che doveva svolgersi a giugno nella città santa di Gerusalemme, ha una sua gravità storica. “Sono rammaricato che il Vaticano abbia dovuto annullare un secondo incontro con il patriarca Kirill, che avevamo programmato per giugno a Gerusalemme”, ha detto Jorge Mario Bergoglio in un colloquio con il quotidiano argentino La Nacion. “Ma la nostra diplomazia ha ritenuto che un incontro tra noi in questo momento potesse portare molta confusione. Io – ha poi aggiunto il papa – ho sempre promosso il dialogo interreligioso. Quando ero arcivescovo di Buenos Aires ho riunito in un fruttuoso dialogo cristiani, ebrei e musulmani. E’ stata una delle iniziative di cui vado più orgoglioso. E’ la stessa politica che promuovo in Vaticano. Come mi avrà sentito dire molte volte, per me l`accordo è superiore al conflitto”. E il rapporto con Kirill è “molto buono”. Ma non ha retto all’onda d’urto delle bombe russe in Ucraina. Immediata è giunta la conferma a denti stretti del “ministro degli Esteri” del patriarcato russo, tra i più entusiasti sostenitori di questo incontro nelle scorse settimane: “Gli eventi degli ultimi due mesi hanno reso necessari adeguamenti ai piani e il rinvio dell’incontro”, ha dichiarato il metropolita Hilarion. “Troppi problemi sorgerebbero ora durante i suoi preparativi” in termini di sicurezza, logistica, copertura dell’incontro in un luogo pubblico: “Aspetteremo un momento migliore per questo evento”.
La sospensione dell’incontro segna una battuta d’arresto maggiore dell’ecumenismo mondiale. Francesco è il primo papa, dallo scisma del 1054, ad avere incontrato un patriarca russo. Il vescovo di Roma accettò le condizioni di Mosca: l’incontro si svolse nell’hangar dell’aeroporto di Cuba, alla fine Francesco firmò una dichiarazione congiunta con molti passaggi teologici e pastorali che suonavano estranei alla sua sensibilità. Ma poté abbracciare Kirill – un sogno accarezzato a lungo dai suoi predecessori – e chiamarlo “fratello”. In tutte queste settimane, il papa non ha mai tagliato il filo che lo legava al patriarca russo, nonostante la plateale benedizione data da Kirill ad una guerra di aggressione che Bergoglio ha definito, nel corso delle settimane, “ripugnante”, “folle”, “bestiale”, “barbara”, “sacrilega”, “crudele”, “insensata”, “ingiusta” e “selvaggia”. Nonostante che Kirill la giustificasse con l’espansione della Nato (alla Nacion il papa ha detto che “ogni guerra è anacronistica in questo mondo e a questo livello della civiltà”). Nonostante tirasse in ballo un presunto progetto dell’Occidente di umiliare la Russia tramite – sue parole durante un sermone – il gay pride. Nonostante una distanza abissale, insomma, il papa ha continuato a tenere la porta aperta a Kirill, non senza finire bersaglio del malumore anche del suo amico Sviatoslav Shevchuk, arcivescovo greco-cattolico di Kiev, per non parlare delle critiche vocali che si sono levate dall’Ucraina quando ha voluto una donna russa, accanto ad una sua amica ucraina, alla Via crucis al Colosseo del venerdì Santo.
Per il papa argentino era cruciale: perché grazie a Kirill poteva sperare di arrivare a Vladimir Putin, implorare la pace, incidere sugli eventi. Perché, come ha fatto in una video-chiamata del 16 marzo, ha potuto dirgli in faccia, fraternamente ma schiettamente, che “un tempo si parlava anche nelle nostre Chiese di guerra santa o di guerra giusta. Oggi non si può parlare così. Le guerre sono sempre ingiuste”. Perché era la testimonianza, questo anomalo rapporto tra due persone che si parlavano nonostante fossero su posizioni diametralmente opposte, che due cristiani rimangono fratelli nonostante una guerra, che la speranza non moriva. Accettare di non vedersi è, di fatto, il fallimento di questa esile speranza. La guerra ucraina ha prima iniziato a travolgere Kirill all’interno del suo stesso campo: sono cresciute le critiche da parte della Chiesa ortodossa ucraina affiliata al patriarcato moscovita, diversi sacerdoti e metropoliti hanno smesso di commemorare il suo nome durante la messa, il santo sinodo gli ha chiesto di intervenire presso Putin per fermare la guerra, il metropolita Onufriy ha evocato addirittutra Caino che uccide Abele. Ma niente. Tante e tali sono le critiche che Mosca ha rinviato a data da destinarsi un consiglio di vescovi che era previsto a maggio: il timore palpabile è quella di una sorta di insurrezione. Poi sono aumentati gli appelli da parte delle altre Chiese cristiane, cattolica, protestante, anglicana: non solo quella polacca, da sempre sospettosa delle mire espansionistiche russe, ma anche vescovi, cardinali, preti, pastori dalla Germania, dal Regno Unito, da Ginevra, da Lussemburgo hanno fatto appello a Kirill affinché alzasse apertamente la voce e si schierasse pubblicamente contro la guerra. Ma niente.
Era rimasta l’ipotesi di un incontro con il papa. Francesco l’ha difesa fino all’ultimo. Ne ha parlato, ancora, sul recente volo di ritorno da Malta. Mentre tutti, in Occidente, premevano affinché si recasse in visita a Kiev (ma, come ha spiegato sempre alla Nacion: “Non posso fare nulla che metta in pericolo obiettivi superiori, che sono la fine della guerra, una tregua, o quantomeno un corridoio umanitario. A cosa servirebbe che il Papa andasse a Kiev se la guerra il giorno dopo continuasse?”), lui insisteva per vedersi prossimamente con Kirill. Alla fine, con “rammarico”, ha dovuto rinunciare. Il sangue della guerra in Ucraina pesa troppo. Non aver preso neppure una minima distanza da Putin rende impossibile anche per il papa di incontrare il patriarca di Mosca e di tutte le Russie. Una sconfitta per l’ecumenismo. Tanto più – lo hanno notato solo gli osservatori più attenti – se c’era il progetto di vedersi a Gerusalemme vi doveva essere stato, ancorché molto discreto, il previo beneplacito del terzo protagonista di questa storia, il patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo. Kirill e Bartolomeo non si amano.
Il russo è a capo della Chiesa ortodossa più grande, il patriarca ecumenico è “primus inter pares” della ortodossia. Kirill ha fatto deragliare, dando forfait, il concilio panortodosso presieduto da Bartolomeo, dopo mezzo secolo di preparazione, a Creta nel 2016, Bartolomeo ha riconosciuto l’autonomia (“autocefalia”) di una chiesa ortodossa ucraina che, apprezzata da Kiev e indigesta a Mosca, ha portato la competizione nel territorio canonico di Kirill. Eppure la figura di papa Francesco, che sino ad ora era riuscito a tenere canali aperti con entrambi i “fratelli”. Bartolomeo è il primo patriarca ecumenico ad aver partecipato all’insediamento di un pontefice, Francesco, e il papa argentino, che si è ispirato a lui per l’enciclica Laudato si’, lo ha incontrato numerose volte: lo invitò anni fa, insieme al presidente palestinese Mahmooud Abbas e all’israeliano Shimon Peres per una preghiera per la pace a Gerusalemme, che si svolse nei giardini vaticani. Kirill era il primo patriarca russo ad avere incontrato un romano pontefice. Stava per succedere di nuovo, con il tacito assenso di Bartolomeo. La guerra ucraina ha distrutto, almeno per ora, anche questa possibilità.