Il francescanesimo del MoVimento Cinquestelle s’è trasformato in una macchina da soldi. O almeno così pare, soprattutto in questo ultimo periodo nel corso del quale sono state ammainate le ultime bandiere grilline. A sventolare con un flebile vento, è rimasta soltanto quella del limite del doppio mandato. Ma anche questa, sembra pronta per essere abbassata. E così, soldi e affari si prendono la scena, sollevando polemiche e malumori in un partito, qual è quello dei 5stelle, già lacerato dalla guerra fratricida Conte-Di Maio, dalle controversie giuridiche sullo statuto e non ultimo dalla leadership di Giuseppe Conte, mai decollata e da non tutti ben accolta, a partire dal cofondatore del movimento, Beppe Grillo. Ed è proprio il comico genovese a battere cassa e a strappare un contratto con il M5s – di cui è Garante, quindi anche del contratto stesso – di circa 300mila euro all’anno, per fornire servizi di comunicazione, organizzazione di eventi e mettere a disposizione del partito il blog storico dello stesso comico. In soldoni, una sorta di ufficio stampa da 25mila euro al mese che andranno nelle tasche di Grillo e di cui non c’è traccia del relativo contratto stipulato con i vertici del partito, Giuseppe Conte in primis. “Top secret”, si direbbe in ambienti investigativi.
Altro che dirette streaming e scatoletta di tonno. A pagare il comico (travolto da due inchieste: sul figlio per violenza sessuale e sui presunti favori al gruppo Moby) non saranno i gruppi parlamentari ma il partito, finanziato a sua volta dalle contribuzioni dei parlamentari già sul piede di guerra. “Perché mai dovremmo pagare con le restituzioni il blog di Grillo, mentre prima tutto ciò avveniva gratis?” è il leitmotiv che riecheggia tra deputati e senatori grillini. Gli affari sono affari, direbbero gli americani. E Grillo, in questo caso. D’altronde, non è una questione politica. Lui, a oggi, è il Garante del partito (non retribuito), il “padre nobile”. Ma la comunicazione ha un prezzo, si paga: 25 mila euro al mese. Come dire, con la politica si possono fare affari. E’ la legge del contrappasso che riaccende i tempi di quando il comico megafonava nelle piazze il varo del “Politometro”, uno strumento per verificare i redditi dei politici prima, durante e alla fine del mandato parlamentare. L’aria di business, intanto, colpisce anche il grillino della prima ora Alessandro Di Battista. L’ex falegname ha deciso di fare un po’ di soldi con la politica: il 18 maggio terrà online un corso di comunicazione politica, appunto, per i candidati alle elezioni amministrative 2022 al costo di 39 euro per chi si iscrive entro il 27 aprile, poi – testualmente – “il prezzo salirà”.
Affari sono affari. Il Movimento è costellato di questione di soldi. “Lady Rousseau”, la compagna di Davide Casaleggio ha attaccato recentemente Conte perché vuole 450mila euro, una somma pari al debito che ha maturato il M5s nei confronti di Rousseau, a dire dell’Associazione stessa. Ma non è tutto. Per circa un anno è andata avanti la telenovela delle mensilità che i parlamentari dovevano sborsare al partito. Somme riviste dopo il divorzio da Rousseau e che hanno alimentato sempre più la lista dei morosi. Tutti dati che prima venivano pubblicati in Rete mentre a oggi non c’è più traccia. Nulla si sa più del contributo di 1.000 euro che il parlamentare deve dare mensilmente al partito, oltre alla restituzione da 1.500 euro per alimentare il “fondo sociale”. Sembra che non si rendiconti più nulla. Già è sparita dai radar un altro dei fiori all’occhiello della creatura di Grillo: la rendicontazione pubblica delle spese. Per non parlare dell’addio dato dal M5s alla decisione di non prendere i soldi pubblici per finanziare la politica. Infatti, i 5stelle hanno detto sì al 2 per mille tanto osteggiato quando Enrico Letta lo introdusse al posto dei rimborsi elettorali. “Il M5S non è un partito e non vuole i soldi del 2 per mille. Il M5S ha dimostrato che non servono soldi pubblici per fare politica”, scriveva il Blog delle Stelle. Ma questa è un’altra storia.