Il “paziente zero” dell’epidemia di Ebola in corso in questi mesi, un bimbo di due anni morto nel dicembre 2013 in Guinea, è stato infettato da una famiglia di pipistrelli insettivori annidati in un tronco cavo, dove il piccolo era andato a giocare. La teoria è stata documentata dagli scienziati dell’Istituto Robert Koch di Berlino, guidati da Fabian Leendertz, e pubblicata oggi sulla rivista EMBO Medicina Molecolare. Il bambino considerato il primo caso dell’attuale epidemia di Ebola viveva in un piccolo villaggio della Guinea, al confine con Sierra Leone e Liberia. A meno di 50 metri dalla sua casa una “vasta colonia” di pipistrelli codalibera dell’Angola (Mops condylurus), spiegano gli scienziati, aveva trovato rifugio e casa nel grande tronco cavo di un albero. “I ragazzi andavano regolarmente ad acchiappare e a giocare con i pipistrelli dentro la cavità” e questo ha creato le condizioni per il contagio.
Un team di ricercatori ha trascorso quattro settimane nell’area lo scorso aprile ed è arrivato alla ragionevole certezza che proprio da lì sia partita la prima scintilla dell’epidemia costata la vita ad almeno 7.800 persone, con oltre 20.000 casi registrati sino ad oggi dall’Organizzione Mondiale della Sanità e l’allarme diffuso in tutto il mondo dai primi malati morti fuori dal continente africano. La storia della piccola “vittima zero” è nota da mesi: una settimana dopo la sua morte è deceduta la mamma, poi la sorellina, la nonna. I funerali sarebbero stati il primo luogo di contagio allargato e la particolare collocazione del villaggio, al confine con tre Paesi, avrebbe facilitato la diffusione del virus: quando questo venne isolato, lo scorso marzo, l’epidemia era già in atto sia in Guinea che in Liberia e Sierra Leone.
Un altro tipo di pipistrello, Epomophorus wahlbergi (il pipistrello della frutta) è sospettato come trasmettitore del contagio anche se in modo passivo, perché spesso cacciato e mangiato come selvaggina, ma nel corso dell’ultima epidemia di Ebola non sono state ritrovate prove dirette del suo coinvolgimento. Anche nel caso del pipistrello codalibera dell’Angola, precisano gli scienziati dell’istituto berlinese, i sospetti sono forti, “ma non vi è certezza al 100%”. Gli esami sul sangue dei pipistrelli catturati in loco sono risultati negativi e il tronco cavo servito da casa ai volatili incriminati era stato bruciato quando gli scienziati sono arrivati nel villaggio. La teoria è stata dunque ricostruita sulla base di testimonianze e associazioni di causa-effetto. In ogni caso, avverte Leendertz, sterminare i pipistrelli non è una soluzione, anzi, costituisce un pericolo: il virus potrebbe venire diffuso tramite l’abbattimento, “potrebbe esserci un effetto boomerang davvero serio”.