“È ripugnante”. Così Adam Kinzinger, parlamentare dell’Illinois, uno dei dieci repubblicani alla Camera ad avere votato per l’impeachment di Donald Trump, mentre commentava i contributi finanziari del Partito Democratico per assistere candidati negazionisti sponsorizzati dall’ex presidente alle recenti primarie repubblicane. Kinzinger, membro della Commissione che sta indagando gli assalti al Campidoglio del 6 gennaio scorso, ha reiterato il pericolo della possibile vittoria di questi negazionisti che amplificherebbero la fragilità della democrazia. La storia ci dice che il partito del presidente in carica perde terreno nelle elezioni di midterm, a volte alla Camera, altre volte al Senato, e qualche volta in ambedue rami legislativi. Al momento i democratici hanno la maggioranza alla Camera e un pareggio al Senato (50 a 50) che diventa 51 in casi di voti uguali quando la vicepresidente Kamala Harris può votare e sbloccare gli esiti a favore dei democratici. Perdere la maggioranza in ambedue o persino una delle Camere nell’elezione di novembre, in poco meno di tre mesi, sarebbe un disastro per l’attuale presidente che vedrebbe la sua agenda legislativa congelata completamente, considerando l’intransigenza dei repubblicani. Si capisce dunque perché i democratici le stanno provando tutte per mantenere la loro maggioranza.
Una strategia poco ammirevole è stata adottata di favorire i candidati estremisti “benedetti” da Trump a scapito di altri repubblicani più moderati. Sconfiggere estremisti dovrebbe divenire una carta vincente. Ecco perché il Partito Democratico ha “investito” in alcuni candidati a cui Trump ha concesso il suo endorsement in parecchi Stati con relativo successo. Nello Stato del Maryland i democratici hanno speso 2 milioni di dollari per assistere la campagna di Dan Cox, candidato trumpiano, che era stato presente il giorno dell’insurrezione il 6 gennaio scorso a Washington D. C. Cox dovrebbe risultare un candidato potenzialmente debole invece della moderata Kelly Shultz all’elezione di novembre per governatore. Nelle primarie repubblicane dello Stato del Michigan i democratici hanno similmente contribuito al candidato estremista John Gibbs, avversario del moderato Peter Meijer, nemico di Trump per avere votato a favore dell’impeachment del 45esimo presidente nel 2021. Simili “investimenti” sono stati fatti dai democratici in primarie repubblicane del Colorado, Pennsylvania, Illinois e California, con successi limitati. Il parlamentare repubblicano David Valadao, ventunesimo distretto della California, che aveva anche lui votato per l’impeachment di Trump, è però riuscito a ottenere una risicata vittoria.
In altri casi però i democratici hanno potuto sorridere senza fare molto poiché i candidati trumpiani hanno prevalso sui loro avversari. In Pennsylvania, Doug Mastriano, candidato trumpiano, ha vinto le primarie per governatore. Mastriano ha anche lui partecipato agli eventi del 6 gennaio al Campidoglio. Inoltre Mehmet Oz ha vinto le primarie per il Senato. Ambedue candidati in Pennsylvania avranno una strada difficile a novembre, secondo i sondaggi. In Arizona, un altro Stato in bilico, i candidati trumpiani hanno vinto le primarie per governatore (Kari Lake) e senato (Blake Masters), facendo sorridere l’ex presidente e i democratici i quali vedono ambedue buone possibilità di vittoria. La presenza di questi candidati trumpiani offre speranze ai democratici che li vedono come surrogati dell’ex presidente, l’individuo che ha dominato l’elezione del 2020 e che loro hanno sconfitto per la Casa Bianca e la maggioranza nelle due Camere. Trump potrebbe “aiutare” ancora di più i democratici all’elezione di novembre se annunciasse la sua candidatura per l’elezione presidenziale del 2024. Avrebbero l’opportunità di usarlo come spauracchio invece di dovere correre giustificando il loro operato negli ultimi due anni.
Trump potrebbe esaudire il desiderio dei democratici. Non sarebbe affatto impensabile nonostante il fatto che sposterebbe il baricentro dell’elezione di novembre dall’operato di Biden a quello dell’ex presidente. Con i guai legali sempre più seri il 45esimo presidente potrebbe cercare di allontanare i riflettori dai suoi problemi legali e ottenere un certo scudo che la candidatura gli fornirebbe. Va ricordato che proprio il giorno della perquisizione a Mara-a-Lago Trump si trovava a New York per testimoniare nel processo civile della sua azienda. L’ex presidente si è presentato al tribunale ma ha invocato il quinto emendamento che garantisce ai cittadini di non rispondere per paura di incriminarsi. Da aggiungersi l’altro processo della Georgia che sta indagando possibili reati di Trump di avere cercato di ribaltare l’esito elettorale del 2020 nel Peach State. Il guaio legale più pericoloso però è venuto a galla dal rilascio del mandato di perquisizione del Ministero di Giustizia che accusa Trump di avere violato l’Espionage Act, la legge anti spionaggio, proprio quella che sta affrontando Julian Assange. L’annuncio della sua candidatura non bloccherebbe questi guai legali di Trump ma sarebbe un tentativo di concentrare l’attenzione mediatica sulla politica e presentarsi come vittima di persecuzione politica per cercare di farlo fuori e negargli il ritorno alla Casa Bianca. *Professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California. Alcuni dei suoi articoli hanno vinto premi della National Association of Hispanic Publications