Green Deal, il governo Meloni in rotta di collisione con l’Ue

Green Deal, il governo Meloni in rotta di collisione con l’Ue
Adolfo Urso
2 marzo 2023

E’ sulla strategia del Green Deal che l’attuale governo italiano ha imboccato una rotta di collisione nei riguardi della Commissione europea, e anche della maggioranza dell’Europarlamento e dei governi degli Stati membri. Lo ha confermato il ministro delle Imprese e Made in Italy, Adolfo Urso, oggi a Bruxelles, parlando con la stampa al termine del Consiglio Competitività dell’Ue.

Urso ha rimesso in discussione non tanto il Green Deal originario, che la Commissione di Ursula von der Leyen fin dall’inizio del suo mandato, a fine 2019, aveva proposto come nuova strategia di crescita economica dell’Unione, quanto la doppia scelta dell’Esecutivo comunitario di rafforzare e accelerare la transizione ecologica, invece di rallentarla e riadattarla al ribasso, in risposta prima alla crisi causata dalla pandemia di Covid, poi alle conseguenze (soprattutto sul piano energetico) della guerra russa in Ucraina.

Sono state aggiunte delle tappe forzate e ravvicinate al percorso verso la neutralità climatica (obiettivo da raggiungere entro il 2050), e tra queste l’obbligo di zero emissioni per le nuove auto immesse sul mercato Ue dal 2035 (approvato dal Parlamento europeo il 14 febbraio scorso, e bloccato in Consiglio Ue proprio dall’Italia in questi giorni), o la proposta della Commissione per i nuovi standard Euro 7 per tutte le emissioni auto, o quella più recente che pone l’obiettivo di riduzione del 90% al 2040 per le emissioni di camion pesanti e autobus. Il governo italiano, ha affermato Urso, rimette tutto questo in discussione.

“Bisogna modificare – ha detto – le tappe e le modalità di quegli appuntamenti, perché siano sostenibili”. Ma il Green Deal non riguarda solo il clima, bensì tutte le politiche ambientali. E l’Italia – ha indicato il ministro – chiede esplicitamente di rivedere anche la proposta della Commissione sui rifiuti da imballaggi (che puntano sul riuso di certi materiali invece che solo sul loro riciclo), e quella sui prodotti tessili, che dovrebbero rispettare le normative ambientali Ue anche quando sono importate da paesi terzi.

Urso su tutto questo ha espresso posizioni molto nette e circostanziate. Ha detto di aver lanciato “un segnale d’allarme, una sveglia” a tutta l’Europa. Ha chiesto “ragionevolezza” e “un cambio di passo”, che significa sostanzialmente una netta frenata, da parte della Commissione europea, rispetto a quella che viene vista come una fuga in avanti verso una visione giudicata “ideologica, messianica, escatologica”, che “appartiene al passato”. E che mette a rischio, ha denunciato il ministro, “la sostenibilità del nostro sistema sociale, che è conseguenza della sostenibilità del nostro sistema produttivo”.

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Il ministro, inoltre, ha prospettato una strategia di medio termine del governo italiano, che consiste nel tenere su questa linea, cercando alleati fra gli altri paesi membri, fino alle prossime elezioni europee, nel maggio 2024, quando prevede che vi sarà una nuova situazione, con una maggioranza diversa (meno ambientalista) nell’Assemblea di Strasburgo, e con una nuova Commissione, che nell’estate successiva “sorgerà sulla base delle indicazioni dei governi europei”.

A dare quelle indicazioni saranno, naturalmente, l’attuale governo italiano e tutti gli altri che saranno passati a nuove maggioranze di centro destra rispetto al 2019. Il ministro ha accusato il Green Deal, così come è articolato dalla Commissione, di portare l’Ue “dalla padella nella brace”, passando dalla dipendenza energetica dal gas e dal petrolio russi a un’altra dipendenza geopolitica dalla Cina e dall’Asia per quanto riguarda le materie prime necessarie alla transizione ecologica, le batterie delle auto elettriche, e le “tecnologie green”.

“Il mondo è cambiato”, ha sottolineato Urso: siamo in un’altra epoca rispetto a pochi anni fa, come dimostra il gigantesco, inimmaginabile piano che hanno lanciato gli Stati Uniti per finanziare la loro rinascita industriale, anche con “misure protezionistiche”. E se gli Stati Uniti intervengono con forza per “tutelare le proprie imprese e i propri lavoratori, la propria autonomia strategica e quindi la propria indipendenza, le proprie libertà”, perché, ha chiesto il ministro, “l’Europa non dovrebbe farlo?” Insomma, ha concluso Urso, “posizioni che precedentemente erano state assunte in un contesto completamente diverso” oggi ” devono essere viste alla luce della realtà”.

 “Noi – ha puntualizzato Urso – non mettiamo in dubbio le date del 2035 o del 2050″ ovvero gli obiettivi per le auto a zero emissioni e per la neutralità climatica dell’Ue. “Noi chiediamo che ci sia una riflessione sulla base dei dati concreti che sono sotto gli occhi di tutti, e che hanno portato le associazioni di imprese europee e i lavoratori europei a chiedere un cambio di passo alla Commissione”. “Noi – ha ribadito – tuteliamo l’impresa e il lavoro italiani ed europei, e credo che questo sia uno dei punti fondamentali in un’Europa che voglia essere solidale e competitiva a livello globale. Per questo chiediamo che siano modificate le tappe e le modalità per giungere a quegli appuntamenti, affinché siano sostenibili”.

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“Non è che l’Europa del futuro può essere un museo a cielo aperto, e lo diciamo da italiani; ma deve essere anche una società generalmente competitiva, per sostenere il benessere e quindi anche, di conseguenza la libertà dei popoli europei. La decrescita – ha sottolineato Urso – non è mai felice. La decrescita è il presupposto della decadenza, e noi non accettiamo la decadenza”. Che cosa è cambiato, gli è stato chiesto, per causare questa modifica delle posizioni dell’Italia rispetto a quelle che avevano assunto il governo Draghi e lo stesso governo attuale all’inizio del suo mandato? “È accaduto qualcosa nel mondo e in Europa, nel frattempo”, ha risposto Urso. “E’ accaduta prima la pandemia, che tra l’altro ha rimesso in discussione alcune certezze: pensiamo alla sovranità per quanto riguarda la produzione farmaceutica, e poi per tutta la filiera delle catene produttive. Ci ha fatto capire che se manca un chip o manca un medicinale, è minacciata la nostra stessa sopravvivenza, e quindi bisogna ricondurre a unità all’interno del nostro continente anche le catene produttive”.

“Nel frattempo – ha continuato il ministro -, è accaduta la guerra della Russia in Ucraina, con le conseguenze drammatiche che in questi mesi abbiamo scontato per quanto riguarda i prezzi dell’energia e l’inflazione, e non solo, che ci hanno fatto capire che non possiamo dipendere da altri. E se ci rendiamo conto che non possiamo più dipendere dalla Russia per quanto riguarda gas e petrolio, perché – ha chiesto Urso – dobbiamo dipendere domani dalle materie critiche, dai minerali preziosi, dalle terre rare cinesi o dalla tecnologia green realizzata in altri continenti?. Perché? Forse che la realtà non ci ha fatto capire che era mutata la condizione?”.

“Nel frattempo – ha ricordato – è accaduto che il nostro più grande partner e alleato, che apprezziamo, gli Stati Uniti, hanno messo in campo una politica industriale che nessuno di noi immaginava, con quasi 2.000 miliardi di dollari investiti nella loro rinascita industriale: 1.200 miliardi di dollari sulle infrastrutture, 280 miliardi di dollari sulle tecnologie avanzate, chip, semiconduttori, scienze della vita; e poi 370 miliardi di dollari sulla transizione ecologica, con misure protezionistiche che ci dicono che vengono sussidiate e incentivate le autovetture composte negli Stati Uniti, con componenti dal mercato unico nordamericano”.

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“E se gli Stati Uniti, che sono il nostro più grande partner, scelgono una strada molto forte e significativa per tutelare la propria impresa e i propri lavoratori, la propria autonomia strategica e quindi la propria indipendenza, le proprie libertà, l’Europa – ha chiesto ancora il ministro – non dovrebbe farlo? Dovrebbe rimanere schiacciata tra gli Stati Uniti, che scendono in campo per rispondere alla Cina, e noi che guardiamo a una realtà che non c’è più?”.  La tutela della propria industria gli Stati Uniti “la fanno con una serie di misure particolari: 7.500 dollari per incentivare l’auto elettrica. Ma l’auto elettrica – ha rilevato Urso – deve essere assemblata negli Stati Uniti e composta in gran parte con componenti prodotti del Nord America e quindi in Messico. Quindi, voglio dire: vogliamo capire che il mondo è cambiato, o vogliamo rimanere schiacciati dalla realtà? Io credo che abbiamo il dovere di capire che il mondo è cambiato, e quindi anche posizioni che precedentemente erano state assunte in un quadro completamente diverso, che io non contesto oggi, devono essere viste alla luce della realtà”.

“Questa consapevolezza – ha notato il ministro – è sempre più presente in tutti gli interlocutori che ho incontrato, che hanno apprezzato la posizione italiana. E io credo che sui dossier che sono ancora in campo, non soltanto quelli che riguardano l’automotive o il sistema industriale, ma in generale i dossier europei, ci sarà nei prossimi mesi maggiore consapevolezza. Perché hanno preso atto che l’Italia è tornata in campo, come grande paese fondatore dell’Unione europea, che sa bene quali sono davvero il sentimento e la necessità di questo continente.
Noi – ha concluso Urso – non ci rassegniamo”.

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