La flessibilità secondo Bruxelles, incentivo per investimenti

La flessibilità secondo Bruxelles, incentivo per investimenti
14 gennaio 2015

La comunicazione sulla cosiddetta “flessibilità” che la Commissione europea ha approvato ieri a Strasburgo, dovrebbe, secondo le intenzioni, incentivare gli investimenti pubblici per la crescita, assicurando che nel controllo della disciplina di bilancio vi sia un trattamento favorevole a questo tipo di finanziamenti, quando vanno ad aumentare il deficit e il debito pubblico dello Stato membro interessato; allo stesso tempo, la Commissione mira anche a incoraggiare le riforme strutturali dell’economia nei diversi paesi, tenendo conto del loro costo iniziale o (della loro mancanza di vantaggi), che viene poi compensata dagli effetti benefici nel medio termine sul potenziale di crescita.

La “comunicazione” dell’Esecutivo Ue, in sostanza, contiene tre parti: una “clausola sulle riforme strutturali”, inedita; una revisione/chiarificazione della “clausola degli investimenti” che esiste già dal 2013, ma che l’Italia in particolare non ha potuto usare, come avrebbe voluto, a causa della rigidità eccessiva delle condizioni per innescarla; e un nuovo modello quantitativo, che viene chiamato “matrix”, per modulare in modo più intelligente la disciplina di bilancio nei paesi membri, in modo da minizzarne gli effetti prociclici durante i periodi di crisi economica.

Le due clausole su riforme e investimenti prevedono la possibilità di “temporanee deviazioni” dal percorso di aggiustamento dei conti pubblici verso il cosiddetto “obiettivo di medio termine” (il pareggio strutturale di bilancio), per i paesi che – come l’Italia – già rispettano la soglia del 3% nel rapporto deficit/Pil. Nel caso delle riforme, le condizioni per poter far scattare la flessibilità sono tre: che le riforme stesse siano rilevanti; che abbiano effetti di lungo termine positivi verificabili e quantificabili sul bilancio, aumentando il potenziale di crescita; che siano integralmente completate e attuate. Le deviazioni temporanee non dovranno superare lo 0,5% del Pil, dovranno assicurare che continui a essere rispettata con un “margine di sicurezza” la soglia del 3% nel rapporto deficit/Pil. Inoltre, l’obiettivo di medio termine dovrà essere raggiunto comunuque entro quattro anni.

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Nel caso degli investimenti, la clausola prevede che la flessibilità possa scattare quando sono rispettate cinque condizioni: 1) il Pil nazionale deve essere in calo, o la crescita deve risultare di almeno 1,5 punti percentuali più bassa rispetto al suo potenziale; 2) la deviazione non deve portare allo sforamento del limite del 3% nel rapporto deficit/Pil, mantenendo anche un “margine di sicurezza”; 3) il livello degli investimenti nel paese interessato deve registrare un effettivo aumento; 4) il dispositivo si applicherà solo ai co-finanziamenti nazionali di progetti e programmi comunitari (che siano fondi Ue di coesione, o per le infrastrutture di rete, o per l’occupazione dei giovani etc.) e a quelli per progetti specifici approvati e finanziati nell’ambito del nuovo Piano Juncker per gli investimenti strategici in Europa; 5) anche in questo caso, le deviazioni dovranno essere riassorbite entro quattro anni.

I paesi che hanno il rapporto deficit/Pil oltre il 3% non potranno applicare la clausola per gli investimenti, ma potranno avere più tempo per tornare sotto questa soglia se rispetteranno le condizioni relative alle riforme strutturali. Secondo diverse fonti comunitarie, le differenze fra la nuova clausola per gli investimenti e quella che la Commissione aveva già adottato nel 2013 sono tre: 1) viene allargato il campo di applicazione, in particolare con l’aggiunta dei futuri progetti approvati dal nuovo Fondo Juncker (accanto a quelli finanziati dai Fondi strutturali); 2) la condizione della “severa recessione” perché possa scattare la flessibilità viene resa di più facile applicazione, precisando che è sufficiente che il Pil sia negativo nello Stato interessato, e non che debba esserlo in tutta l’Eurozona; 3) viene eliminata, infine, la condizione del rispetto “ex ante” della regola del debito (inferiore al 60% del Pil, o in rapido avvicinamento a questa soglia). E’ soprattutto per quest’ultima ragione che l’Italia non era stata in grado di accedere alla clausola per gli investimenti del 2013.

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