Cav alza voce sul Colle. E intanto tratta con Renzi

Cav alza voce sul Colle. E intanto tratta con Renzi
15 gennaio 2015

di Barbara Acquaviti

Per quasi tre ore sembra un discorso “lunare”. Perché siderale è la distanza tra la giornata politica italiana e le parole che Silvio Berlusconi pronuncia nel gremito Auditorium del Divino Amore durante l’iniziativa “Sìamo l’Italia” organizzata dai circoli Forza Silvio. E dire che l’ex Cavaliere parla davvero di tutto nel suo doppio e prolisso intervento: arriva a ritroso persino ai tempi dell’emergenza immondizia a Napoli o dei “capitani coraggiosi” di Alitalia. Di tutto, insomma, tranne che delle dimissioni di Giorgio Napolitano. Questo, almeno fino alle 19, quando finalmente chiudendo il suo intervento, fa riferimento alla questione che da tempo catalizza politicamente la sua attenzione: l’elezione del prossimo capo dello Stato. L’identikit che traccia, per la verità, non è molto diverso da quello disegnato tante volte in questi giorni. Ma è evidente che ora che i discorsi solo passati dal tempo ipotetico a quello presente, le parole hanno un peso diverso. Il nuovo capo dello Stato – spiega – deve essere “garante di tutti, non di una sola parte”.

“La sinistra – insiste – ha il presidente del Senato, il presidente della Camera, il presidente del Consiglio e il presidente della Corte. Io credo che sia una domanda logica e giusta pretendere di avere un presidente della Repubblica che non sia il seguito degli ultimi tre presidenti della Repubblica di sinistra che hanno portato questo Paese in una situazione di non democrazia”. Una dichiarazione che non solo vuol essere un veto a un nuovo presidente marcatamente di sinistra, ma che rappresenta anche un attacco al veleno a Giorgio Napolitano. Che tra i due i rapporti siano stati spesso gelidi è un dato di fatto. Che Berlusconi si aspettasse dall’inquilino del Colle quell’atto di clemenza mai arrivato non è un mistero. Se finora, però, qualche volta gli era toccato frenarsi, ora il problema non c’è più.

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Ecco perché Berlusconi non saluta con alcuna nota ufficiale o ufficiosa l’addio di Napolitano al Colle, ecco perché non lo nomina mai neanche per sbaglio nel suo lungo intervento al Divino Amore. Ecco perché, soprattutto, lo accomuna ai “nemici” Scalfaro e Ciampi in quella triade di capi dello Stato di sinistra che “ci ha portato in una condizione di non democrazia”.

L’ex premier vuole giocare a tutti i costi la partita per il prossimo presidente della Repubblica. La trattativa è apertissima. Gli stessi paletti di oggi – viene spiegato – sono più un modo per ribadire che l’elezione del nuovo capo dello Stato “non è solo affar loro”. Il suo chiodo fisso resta quello di una ritrovata agibilità politica. La sua difesa del rispetto del patto del Nazareno, ovviamente, ha molto a che fare con questo.

Matteo Renzi è alle prese con due passaggi delicati: vuole che il sì della Camera alle riforme e quello del Senato alla legge elettorale arrivino prima del 29 gennaio, data in cui il Parlamento si riunirà in seduta comune per la prima votazione. Il Cav continua a ripetere di voler mantenere quell’impegno, ed è quello che in serata ribadisce anche ai senatori di Fi riuniti insieme ai parlamentari di Mario Mauro a palazzo Grazioli e poi ancora, in serata per cena, ai leghisti Bossi e Calderoli. Ma certo l’ex premier sa di avere anche un problema in casa: quello della fronda fittiana. Dalle parti dell’europarlamentare respingono gli scenari di scissione rilanciati ancora oggi in un tweet da Roberto Giachetti. Ma certo non mancherà di far sentire il suo peso.

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