Ha impiegato sette anni Michele Riondino per realizzare il suo primo film da regista, “Palazzina Laf”, e raccontare l’incredibile storia degli uffici-lager dove i dirigenti dell’Ilva a metà anni ’90 mandavano alcuni dipendenti in punizione, togliendo loro ogni incarico. Il film, presentato in anteprima alla Festa di Roma e nei cinema dal 30 novembre, nasce dal racconto delle loro storie.
“Non dare sedie a sufficienza, non dare posto dove sedersi, mantenere le finestre rotte, togliere i tavoli per non permettere alla gente di sedersi. – ha detto il regista – Scortarli all’interno dell’azienda, come se fossero all’interno di un campo di concentramento mi sembravano assurde. Paradossalmente la credibilità di queste storie sono date dal grottesco”.
Grottesche le scene del film in cui si vedono lavoratori altamente qualificati costretti in quel luogo che poi avrebbe causato loro diversi problemi psicologici. Riondino nel film interpreta uno di questi operai, mandato dal dirigente delle acciaierie interpretato da Elio Germano a spiare le presunte attività sovversive dei colleghi. Dopo un processo Emilio Riva fu condannato per tentativo di violenza privata. Le vicende dell’ex Ilva sono da anni nelle cronache, dalle morti causate dalle sostanze cancerogene emesse dagli stabilimenti, alla gestione delle acciaierie dal 2017 da parte del nuovo proprietario Arcelor Mittal. Gli operai hanno appena protestato di nuovo a Roma per la salvaguardia del proprio posto di lavoro e riincontreranno il governo il prossimo 7 novembre.
“Mi viene quasi una tenerezza, li guardo sempre con molta tenerezza, perché in realtà la fabbrica, quell’azienda, è già morta. Non l’abbiamo uccisa noi attivisti, l’ha uccisa il mercato. E vendere quell’azienda ad Arcelor Mittal, al più grande competitor di acciaio è stata una forma di suicidio, di suicidio politico, industriale, economico”.