L’annuncio arriva al minuto 65 di un discorso che complessivamente ne dura 73. E’ l’ufficializzazione di una notizia che già non era più un segreto per nessuno. Nessuna suspence, dunque, ma lo sfondo del mare di Pescara – che fa pendant con il tailleur azzurro scelto per l’occasione – contribuisce all’effetto scenico. Giorgia Meloni chiude la tre giorni della conferenza programmatica del partito e dice alla platea di militanti e dirigenti esattamente quello che volevano sentirsi dire. Ovvero che giocherà la partita delle elezioni Europee in prima persona, candidandosi come capolista in tutte le cinque circoscrizioni. Lo faccio, spiega, “perché voglio chiedere agli italiani se sono soddisfatti del lavoro che stiamo facendo in Italia e del lavoro che stiamo facendo in Europa”.
Il colpo di scena, semmai, sta nella decisione di chiedere agli elettori di indicare la preferenza nei suoi confronti solo con il nome. E’ un’opzione che la legge prevede, purché dichiarata nella scheda. “Io – dice – sono e sarò sempre fiera di essere una persona del popolo” e “allora, se volete dirmi che ancora credete in me, mi piacerebbe che lo faceste scrivendo sulla scheda semplicemente Giorgia” perché “sarò sempre solo una persona alla quale dare del tu. Senza formalismi, senza distanze”. L’impegno è quello di fare campagna elettorale senza sottrarre “un solo minuto all’attività del governo”. Sarà il mood delle prossime settimane, come a dire che la migliore propaganda che si può fare per queste elezioni è mostrare la dedizione al governo del Paese. Anche per questo non è prevista una sua mobilitazione piazza per piazza ed è anzi probabile che l’unico evento al quale parteciperà sarà la chiusura che si terrà verosimilmente a Roma.
C’è anche da fare i conti con il problema con gli otoliti che anche nella giornata di oggi, come ha detto lei stessa dal palco, le hanno provocato delle vertigini. Tanto da aver preferito ripartire subito per Roma senza fermarsi al pranzo già organizzato dal partito in un ristorante sulla spiaggia. “Siccome per fortuna non sono la segretaria del Pd, penso di poter confidare nel fatto che il mio partito farà del suo meglio per darmi una mano in questa campagna elettorale”, dice la premier. Di certo, potrà contare sul contributo della sorella Arianna che sta già organizzando una serie di tappe in giro per l’Italia. La presidente del Consiglio sa che raramente un governo in carica da quasi due anni è arrivato in buone condizioni di consenso al giudizio delle Europee: una fotografia che, causa sistema proporzionale su tutto il territorio nazionale, non può essere contraffatta.
Candidarsi, dunque, significa andare all’incasso di un sostegno che i sondaggi accreditano come molto vicino al 26% delle Politiche. Non a caso la soglia psicologica a cui ha dichiarato di ambire. Il vero obiettivo, in realtà, è più ambizioso, anche se nessuno lo ammette pubblicamente: sfiorare il 30%. Il sogno: battere il record di oltre 2 milioni e 700 mila voti che Silvio Berlusconi prese alle Europee del 2009. Un ragionamento simile a quello della premier, con le dovute proporzioni, lo ha fatto anche Antonio Tajani decidendo di candidarsi. Il segretario di Forza Italia un anno fa ha raccolto un partito destinato a scomparire dopo la morte del fondatore e ora ambisce al 10%. L’opposto, invece di quello che è stato costretto a fare Matteo Salvini, lontanissimo dalle percentuali di cinque anni fa. Non a caso unico dei tre leader a non candidarsi e peraltro anche unico non presente in carne e ossa alla convention dei meloniani.
“Era l’unica domenica che avevo per stare con i miei figli” dice in videocollegamento con Pescara. “Ci ha preferito il ponte”, ironizza Meloni. Poi, per provare a placare voci di frizioni, da entrambi gli staff si fa sapere che i due si sono sentiti “per fare il punto” e “ironizzare su certe ricostruzioni polemiche”. Perché la parola d’ordine è ripetere che la coalizione è compatta e che non ci sarà nessuna conseguenza dalle Europee sullo stato di salute del governo. Ma la competizione è già aperta, tanto che c’è il rischio che salti il comizio comune per il candidato alla Regione Piemonte proprio per la difficoltà di conciliare una elezione amministrativa, in cui si sta tutti insieme, con una europea in cui si va ognuno per sé. E poi ci sarà da fare i conti con la composizione degli equilibri post voto a Bruxelles, dove i tre partiti appartengono a tre famiglie diverse. “Vogliamo fare in Europa quello che abbiamo fatto in Italia il 25 settembre del 2022, mandando finalmente la sinistra all’opposizione anche in Europa”, dice. Ma sa bene che importare il famoso “modello italiano” sarà “impresa difficile”. askanews