La situazione in Medio Oriente sta vivendo una delle sue fasi più critiche degli ultimi anni, con il conflitto tra Israele e Hezbollah che si intensifica a ritmi preoccupanti. Le violenze, scoppiate lungo la controversa linea di confine tra Israele e Libano, hanno portato a un rapido deterioramento della sicurezza regionale, con gravi conseguenze per le popolazioni civili. Secondo Al Jazeera, oltre 700 persone hanno perso la vita in Libano dall’inizio dei raid israeliani, con almeno 600 vittime nei primi due giorni. In risposta, Hezbollah ha lanciato missili contro la città israeliana di Tiberiade, alcuni dei quali sono stati intercettati dalle Forze di Difesa Israeliane (IDF), mentre altri sono esplosi nel lago di Tiberiade.
La crisi non si limita al Libano. Anche la Siria è stata coinvolta, con cinque soldati uccisi in un attacco israeliano contro obiettivi militari vicini al confine libanese. A peggiorare ulteriormente la situazione, un altro raid israeliano ha colpito Shebaa, nel sud del Libano, causando la morte di nove persone, inclusi quattro bambini. Nel frattempo, Israele ha respinto una proposta di cessate il fuoco avanzata da Stati Uniti e Francia, con il primo ministro Benjamin Netanyahu che ha dichiarato fermamente l’intenzione di continuare le operazioni militari. Netanyahu ha riconosciuto gli sforzi degli Stati Uniti per mediare una tregua, ma ha ribadito che la sicurezza del confine settentrionale di Israele rimane una priorità assoluta.
Nel nord di Israele, le sirene d’allarme hanno risuonato anche a Haifa, dove sono stati lanciati almeno dieci missili dal Libano. Diversi missili sono stati intercettati dall’IDF, ma uno è esploso in mare, vicino al porto di Haifa, alimentando le paure di un’escalation ulteriore.
Il confine irrisolto tra Israele e Libano
Il conflitto tra Israele e Hezbollah, la principale milizia libanese, trova le sue radici anche in una complessa disputa territoriale. Nonostante i media parlino spesso di un “confine” tra Israele e Libano, in realtà non esiste una frontiera ufficialmente riconosciuta tra i due paesi. Ciò che esiste è la cosiddetta Blue Line, una linea di demarcazione tracciata dalle Nazioni Unite nel 2000 dopo il ritiro delle truppe israeliane dal Libano meridionale. Questa linea, lunga circa 120 chilometri, corre dal Mar Mediterraneo fino alle alture del Golan, e funge da confine de facto, ma è oggetto di continue tensioni e rivendicazioni territoriali da entrambe le parti.
La creazione della Blue Line risale al 1978, quando Israele invase per la prima volta il Libano in risposta agli attacchi dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), che usava il sud del Libano come base per le sue operazioni. In seguito all’invasione, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU approvò la risoluzione 425, imponendo il ritiro israeliano e istituendo la missione UNIFIL (United Nations Interim Force in Lebanon), ancora oggi attiva per monitorare la situazione e garantire una fragile pace nella regione.
Israele si ritirò temporaneamente dal Libano poco dopo la prima invasione, ma tornò nel 1982, nuovamente in risposta agli attacchi dell’OLP. Durante gli anni di occupazione, nacque Hezbollah come forza di resistenza contro l’occupazione israeliana. Dopo quasi vent’anni, nel 2000, Israele si ritirò definitivamente dal Libano, ma non fu possibile stabilire un confine ufficiale con il governo libanese. A quel punto, le Nazioni Unite intervennero per tracciare una linea di demarcazione provvisoria basata su vecchie mappe e accordi risalenti al periodo del mandato francese e britannico nel Medio Oriente.
La blue line e l’UNIFIL
La Blue Line, tracciata dall’ONU, non è riconosciuta come confine ufficiale né da Israele né dal Libano, ma funge da linea di separazione de facto tra i due stati. La sua sorveglianza è affidata alle forze UNIFIL, che comprendono anche un contingente italiano, con il compito di monitorare la situazione, pattugliare l’area e prevenire nuovi scontri. Tuttavia, la Blue Line è spesso violata, sia da Hezbollah sia dalle forze israeliane, portando a frequenti scontri militari.
L’episodio più grave di violazione della Blue Line avvenne nel 2006, quando Hezbollah attaccò Israele, scatenando una massiccia risposta israeliana e una guerra che durò circa un mese. Da allora, la situazione è rimasta instabile, con violazioni minori ma costanti, che spesso coinvolgono anche civili, come nel caso dei pastori libanesi che, a volte senza rendersene conto, attraversano la linea durante le loro attività. Per cercare di controllare meglio la situazione, Israele ha costruito una barriera fisica, chiamata “technical fence”, che corre lungo il lato israeliano della Blue Line, ma nonostante queste misure, il confine rimane estremamente poroso e vulnerabile.
La dimensione geopolitica del conflitto
Il conflitto tra Israele e Hezbollah non può essere visto isolatamente, ma deve essere considerato all’interno del più ampio quadro geopolitico del Medio Oriente. Hezbollah, infatti, è sostenuto dall’Iran, che lo utilizza come uno dei suoi principali strumenti di pressione contro Israele. A sua volta, Israele vede Hezbollah non solo come una minaccia regionale, ma come un’estensione diretta dell’influenza iraniana, motivo per cui le tensioni con la milizia libanese assumono una valenza strategica più ampia.
L’Iran, insieme alla Siria, sostiene attivamente Hezbollah con armi e risorse, e questo crea una pericolosa dinamica di escalation che può facilmente trascendere il conflitto locale e coinvolgere altri attori regionali. La stessa Siria è stata coinvolta nel recente conflitto, con Israele che ha colpito ripetutamente obiettivi militari siriani vicino al confine con il Libano, provocando la morte di soldati e civili. In questo contesto, ogni tentativo di mediazione internazionale si trova di fronte a enormi ostacoli.
Le pressioni interne e internazionali su Israele
A complicare ulteriormente la situazione, il primo ministro israeliano Netanyahu è sottoposto a forti pressioni interne. I partiti di destra e ultradestra del suo governo chiedono un’azione militare più decisa contro Hezbollah, mentre l’opposizione e alcune voci internazionali invocano moderazione e diplomazia. Nel frattempo, il presidente palestinese Abu Mazen ha accusato Israele di commettere un “genocidio” nel Libano del sud, alimentando la retorica contro Israele nel mondo arabo.
Gli Stati Uniti e la Francia hanno cercato di avanzare una proposta di cessate il fuoco, ma finora senza successo. Netanyahu ha ribadito che la priorità di Israele è garantire la sicurezza dei propri cittadini, soprattutto nelle città settentrionali, sotto costante minaccia di attacchi missilistici da parte di Hezbollah. Tuttavia, l’incapacità di trovare un accordo diplomatico mette Israele di fronte alla prospettiva di un conflitto prolungato, con pesanti costi umani e politici.
L’escalation tra Israele e Hezbollah rappresenta un serio rischio per la stabilità del Medio Oriente. La mancanza di un confine riconosciuto tra Israele e Libano, la fragilità della Blue Line e l’assenza di prospettive diplomatiche concrete rendono la regione altamente volatile. Le tensioni locali sono inoltre aggravate dal coinvolgimento di potenze regionali come l’Iran e la Siria, mentre le pressioni interne su Netanyahu complicano ulteriormente le possibilità di un accordo di pace. Senza un intervento deciso della comunità internazionale, il conflitto rischia di intensificarsi, con ripercussioni non solo per i due paesi coinvolti, ma per l’intera regione.