L’attacco coordinato da Hamas il 7 ottobre ha lasciato una scia di orrore e distruzione che ancora oggi è difficile comprendere appieno. Tra le tante atrocità, una delle questioni più delicate e complesse da affrontare riguarda la violenza sessuale che, secondo alcuni rapporti, sarebbe stata inflitta alle donne durante quell’infausto giorno. La conferma di questi crimini rimane frammentaria, ma diverse fonti, comprese organizzazioni internazionali come l’ONU, indicano che la violenza sessuale è stata parte integrante delle brutalità commesse.
Nel marzo successivo, una commissione dell’ONU ha pubblicato un rapporto di 24 pagine che descriveva “informazioni credibili e circostanziate” su forme estreme di violenza sessuale, tra cui mutilazioni genitali, torture e altri comportamenti disumani. Sebbene le prove concrete siano scarse, questi elementi fanno emergere un quadro drammatico e inquietante di abusi. Le testimonianze delle sopravvissute sono poche, e molte donne trovano estremamente difficile parlare di ciò che hanno subito. La mancanza di prove fisiche dirette rende quasi impossibile ricostruire tutti gli eventi.
Nei giorni immediatamente successivi all’attacco, centinaia di cadaveri sono stati trasferiti alla base militare di Shura, molti dei quali bruciati, sfigurati e in condizioni tali da rendere arduo qualsiasi esame approfondito. Secondo la tradizione ebraica, i corpi sono stati sepolti rapidamente, rendendo difficile la ricerca di prove specifiche di stupri o altre forme di violenza sessuale. Tuttavia, alcuni dei riservisti che hanno lavorato alla preparazione dei corpi hanno riferito di aver visto segni che suggeriscono violenze sessuali: ragazze semi-nude, con biancheria macchiata di sangue e ferite da arma da fuoco inflitte agli inguini e ai seni.
Rami Shmuel, producer del festival Tribe of Nova, uno degli eventi colpiti dagli attacchi di Hamas e dove più di 360 persone hanno perso la vita, ha raccontato l’orrore vissuto quel giorno: “È un livello di cattiveria difficile da credere che esista davvero in questo mondo. Hanno sparato a tutto quello che respirava senza distinzioni: ragazze, uomini, donne, anziani, neonati, cani, cavalli; arabi, ebrei, filippini o nepalesi”. Il caos e la brutalità di quell’attacco hanno lasciato una ferita profonda nella coscienza collettiva di chi ha vissuto e assistito a quegli eventi.
Due mesi dopo, la docente di giurisprudenza Cochav Elkayam-Levy, a capo della Commissione civile sui crimini commessi il 7 ottobre contro donne e bambini, ha spiegato: “Il nostro obiettivo è storico, non siamo un organo di giustizia, non siamo degli inquirenti. Per me significa che non abbiamo l’obbligo di chiederci se abbiamo abbastanza materiale per sostenere una causa in tribunale o anche solo per scrivere un articolo. Per me è abbastanza ritrovare un altro pezzo di questo puzzle bruciato che andiamo ricomponendo. Ma non abbiamo video degli stupri. Non sapremo mai cosa è successo alle donne. Non conosceremo mai l’ampiezza dei crimini commessi.”
Questa consapevolezza lascia un vuoto insopportabile. La mancanza di prove concrete e la difficoltà nel raccogliere testimonianze dirette dalle sopravvissute complicano enormemente il lavoro di chi cerca di ricostruire la verità. Ma, come sottolinea Elkayam-Levy, ogni piccolo pezzo di testimonianza, ogni prova raccolta, contribuisce a ricostruire l’immagine di quel giorno di terrore. Tuttavia, la verità completa potrebbe non emergere mai del tutto, lasciando un senso di giustizia incompleta e un dolore profondo che continuerà a pesare.