Regionali, a maggio si vota. E i partiti vanno in tilt

Regionali, a maggio si vota. E i partiti vanno in tilt
12 marzo 2015

di Daniele Di Mario

Sono le vere elezioni di midterm. Più delle europee dello scorso anno, le regionali che si celebreranno esattamente tra due mesi – la data non è ufficiale ma sarà domenica 10 maggio – rappresentano uno spartiacque tanto per il governo quanto per i partiti di maggioranza e opposizione. Il voto regionale di primavera rappresenta una cartina tornasole di cui i leader dovranno tenere conto. Il quadro ad oggi è fluido. Le coalizioni tradizionali sono implose dopo un governo tecnico – Monti – e due esecutivi politici di larghe intese – Letta e Renzi. A livello locale i partiti tendono ad andare in ordine sparso in attesa di una riorganizzazione dell’architettura della politica italiana che giocoforza ci sarà con la nascita della nuova legge elettorale e che, in un modo o nell’altro, non potrà non tener conto dell’attuale perimetro di maggioranza. Con evidenti ripercussioni su Comuni e Regioni. Renzi ribadisce che l’orizzonte della legislatura resta quello naturale del 2018, ma nessuno sa prevedere quale effetto avranno sulla dialettica parlamentare l’Italicum, le riforme, il cambio di linea politica del Pd, l’ascesa di Salvini, la crisi dei moderati di centrodestra.

QUADRO INCERTO In un quandro tanto incerto, le forze politiche si arrangiano come possono a livello regionale. Ma la valenza del voto di maggio ha un’inevitabile caratterizzazione nazionale. Di fatto si tratta delle vere elezioni di metà mandato. Dalle europee del 2014 è cambiato molto. Allora, Renzi era da pochi mesi segretario del Pd e da ancora meno al governo, la scissione del Pdl in FI e Ncd ancora freschissima, la Lega partiva con un pronostico che la dava per morta e Grillo era il vero sfidante di un giovane premier che le azzeccò tutte. La trovata degli 80 euro diede slancio a Renzi, che si proponeva all’elettorato come l’unico in grado di risolvere, con la sua frenesia e la sua vivacità, problemi che l’Italia non riusciva ad affrontare da quarant’anni. L’alternativa era Grillo che proponeva processi in piazza o sul web. Berlusconi era in vinculis, impegnato nei servizi sociali a Cesano Boscone e fuori gioco per la campagna elettorale. Finì come sappiamo: il Pd volò al 40,8% e, oltre alle europee, vinse nell’arco di pochi mesi e a cavallo del voto per il Parlamento Ue, le regionali in Sardegna, Abruzzo, Basilicata, Calabria, Emilia Romagna. Insomma, 6-0 per Renzi e palla al centro.

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MAGGIO 2014-MAGGIO 2015 In un anno lo scenario è totalmente cambiato. Renzi è a Palazzo Chigi da oltre un anno, la crisi economica non smette di mordere, le riforme vendute come realizzate sono decreti, leggi deleghe o disegni di legge incardinati in Parlamento. Poche hanno visto la luce. Tra queste il Jobs Act che ha spaccato i Dem e il fronte della sinistra – sancendo la rottura tra Pd e Cgil e con Sel sempre più critica col premier – e provocato frizioni nella maggioranza stessa, tenuta in piedi da voti di fiducia a raffica, canguri e minacce di elezioni anticipate. Il premier non è più allo zenit del consenso e deve difendere il 40,8% dell’anno scorso. Stavolta ha un avversario in più: Matteo Salvini che, nonostante la frattura veneta con Tosi, sta creando un polo lepenista accreditato di percentuali ben al di sopra della doppia cifra in tutta Italia. Beppe Grillo e il suo MoVimento 5 Stelle appaiono in calo, ma la crisi potrebbe soffiare ancora sotto la brace mai spenta dell’antipolitica militante. Tra i moderati del centrodestra è il caos. Berlusconi, terminato l’affidamento ai servizi sociali, farà due mesi di campagna elettorale, ma i sondaggi non sembrano sorridere a Forza Italia – che un anno fa prese il 16% – e l’offensiva interna di Raffaele Fitto non accenna a rientrare, anzi, in caso di debacle alle regionali, sarà difficile contenere l’europarlamentare pugliese. Il Nuovo Centrodestra di Angelino Alfano, dopo il 4,4% delle europee, vara Area Popolare con l’Udc ma senza una linea politica ben chiara, un pendolo che oscilla tra il sostegno al governo e il ricongiugimento col Cav, lasciato ormai da un anno e mezzo. In questo scenario, qualsiasi rassamblement degli assetti politici non potrà non tenere conto dell’esito delle prossime regionali.

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