I gusti cambiano. Soprattutto in cucina. L’agnello sulle tavole di Pasqua è uno dei piatti della tradizione che da secoli accompagna il pranzo della festa. Ma oggi in Italia anche questa abitudine sembra conoscere una decisa battuta d’arresto. L’agnello al forno con patate, rosolato nell’olio e nell’aglio, insaporito con le erbe aromatiche delle diverse ricette regionali, punteggiato di rosmarino e avvolto in una croccante camicia dorata è uno dei gioielli della corona della gastronomia nazionale. Ma sembra che su questo trionfo carnivoro italico stia tramontando la gloria del sole di Austerliz. Le legioni di gourmet, titolati e casarecci, che hanno da sempre decretato il suo indiscusso successo pasquale stanno manifestando segnali di crescenti difficoltà. Secondo l’Istat, in Italia il numero degli agnelli macellati è precipitato dai 4,6 milioni nel 2010 a poco più di 2 milioni l’anno scorso. Le associazioni animaliste ritengono che il trend, accelerato negli ultimi anni, rifletta un moto di repulsione nei confronti della pratica di strappare gli agnelli alle madri per inviarli al mattatoio a solo quattro settimane dalla nascita, quando sono ancora profumati di latte. “Avendo in braccio un agnellino, spiega Silvia Fassetta, fondatrice di The Green Place, un’oasi animalista, è facile capire perché siamo coinvolti in questa campagna di sensibilizzazione per fare uccidere meno agnelli possibile sotto Pasqua che è il momento, insieme al Natale, in cui in Italia per tradizione di mangiano più agnelli”. La risposta dei consumatori di questo piatto è scontata denunciando, forse non senza ragione, una sorta di ipocrisia sottotraccia. “Non credo che faccia molta differenza mangiare un animale piccolo o uno un po’ più grande, sottolinea Pino Marabitti, macellaio romano. Di per sé il concetto è lo stesso, non è che crescendo si è meno crudeli”. La controreplica è altrettanto scontata: bisogna passare a una dieta vegetariana. Meglio ancora, vegana. Ai posteri l’ardua sentenza. (Immagini Afp)