Italicum, cresce l’opposizione alla linea Renzi

Italicum, cresce l’opposizione alla linea Renzi
15 aprile 2015

di Enzo Marino

Sull’Italicum non si tratta, Matteo Renzi lo ha ribadito parlando a Milano e lo ripeterà questa sera al gruppo della Camera del Pd e sarà complicata, per la minoranza del partito, evitare di dividersi. Il premier, spiegano, farà un discorso “di apertura”, ma solo sulla riforma della Costituzione sulla quale al Senato “si potrà ragionare”. La riforma elettorale, invece, va approvata così com’è e subito, a maggio. Una linea che porta la minoranza a un bivio, dopo mesi passati a cercare di tenere insieme linee diverse. La riunione di ieri di Area riformista non è stata semplice, raccontano, e addirittura tornano a circolare voci di possibili dimissioni di Roberto Speranza, se il gruppo dovesse dividersi in maniera clamorosa durante il voto in aula. Ettore Rosato, vice-presidente del gruppo Pd e renziano, ripete che “il gruppo voterà e poi tutti dovranno adeguarsi”. E siccome non tutti si adegueranno, la sostituzione dei ‘ribelli’ in commissione diventerà un passaggio obbligato: gli emendamenti dovranno essere presentati entro venerdì, anche se ci potrebbe essere una proroga del termine a lunedì. La commissione licenzierà il testo il 27 aprile, come deciso, e poi la parola passerà all’Aula, dove – con il voto segreto – i duri della minoranza proveranno a fare lo sgambetto a Renzi. I rischi di un passo falso potrebbero, teoricamente, essere evitati ponendo la fiducia, ma uno dei fedelissimi del premier sembra poco convinto che si arriverà a tanto. Una soluzione del genere, peraltro, spingerebbe anche molti dei ‘dialoganti’ a votare contro l’Italicum, dopo aver ribadito la fiducia al governo.

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L’ipotesi più probabile, quindi, è quella di una ‘fiducia politica’, ovvero di un discorso molto chiaro di Renzi sul significato che assume il voto sull’Italicum: se la riforma venisse affossata, è il ragionamento fatto dal premier in direzione Pd e che verrà ribadito, la legislatura sarebbe compromessa. Ma Renzi sa bene che la minoranza non è affatto unita come potrebbe apparire leggendo le 80 firme sull’appello rivolto la scorsa settimana da Area riformista. Molti, nella riunione di questa mattina, hanno chiarito che un conto è manifestare dissenso domani sera, nella riunione di gruppo, altra cosa sarebbe sfilarsi al momento del voto in aula o, addirittura, tentare imboscate con la sponda di M5s e dei falchi di Fi. D’altro canto, Bindi, Bersani, Fassina, D’Attorre non intendono cedere. Addirittura, ieri mattina dentro Area riformista non si è trovato un vero accordo nemmeno sul comportamento da tenere domani sera al gruppo: se i ‘duri’ chiedono di votare no, l’ala più dialogante si limita a dire che “non si voterà a favore” e alla fine potrebbe prevalere questa seconda linea. Insomma, uno scenario confuso, che ha rilanciato l’ipotesi delle dimissioni dello stesso Speranza, da mesi nel difficile ruolo di mediatore tra la linea del governo e quella dei più intransigenti della minoranza. L’eventualità, per ora, viene negata un po’ da tutti, ma non è escluso che il capogruppo decida di rimettere il mandato se in aula il gruppo Pd finisse per dividersi in maniera clamorosa.

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FORZA ITALIA L’altro fronte è esterno, relativo alle posizioni di Forza Italia. Sul piede di guerra  il gruppo azzurro il cui direttivo ha deciso all’unanimità di respingere una legge elettorale “blindata” e di presentare “pochi, ma forti e determinati, emendamenti nei quali tutto il gruppo possa riconoscersi”. In un tweet il capogruppo alla Camera, Renato Brunetta, dichiara: La riunione del direttivo del gruppo di Montecitorio ha riguardato l’analisi della riforma della legge elettorale. Sotto la lente di ingrandimento il premio di maggioranza alla coalizione e non più alla lista, ripristinando così il testo uscito dalla Camera a marzo 2014. Poi la possibilità di introdurre l’apparentamento al secondo turno e ancora posticipare l’entrata in vigore della legge al 2017 o dopo l’approvazione definitiva della riforma costituzionale e, infine, le ricadute della legge elettorale su regioni come il Trentino Alto Adige e il Friuli Venezia Giulia.

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