Il labirinto degli ordini tra indagati e dittatori. Berlusconi lascia

20 marzo 2014

Nel caos delle onoreficenze che ogni anno concede il Presidente della Repubblica c’è una sola certezza: un titolo – con tutto il corredo di medagliette, collari, spillette, nastrini – non si nega a nessuno. Farsi largo nella giungla di ordini che raccolgono i cosiddetti “benemeriti” della Repubblica italiana può risultare arduo. Per prima cosa, una distinzione. Cavalieri del Lavoro e Cavalieri della Repubblica non sono la stessa cosa. Nella prima categoria, dalla quale si è autosospeso ieri Berlusconi, rientrano le personalità che si siano distinte per meriti nel campo delle attività produttive – ad esempio industria o agricoltura – e che abbiano incrementato l’economia del Paese. In tutto sono state 2.747, di cui 526 (Berlusconi compreso) viventi. A guidare l’ordine è il Capo dello Stato che ogni 2 giugno insignisce della croce di Cavaliere del Lavoro 25 imprenditori tra i 40 proposti dal ministero dello Sviluppo.

Altra cosa sono i Cavalieri della Repubblica, ovvero il “gradino” più basso delle onoreficenze al merito della Repubblica, seguite – in ordine crescente – dal titolo di Ufficiale, Commendatore, Grande Ufficiale e Cavaliere di Gran Croce. Può sembrare difficile percorrere passo dopo passo il percorso che porta al vertice delle onoreficenze, ma in realtà hanno già ottenuto il grado più altro quasi 9mila «notabili», mentre sono circa 130mila quelli arrivati almeno al primo gradino.

Ovvio che, di fronte a tali numeri, il rischio di commettere qualche piccolo errore di «valutazione» sia dietro l’angolo. Difficile, altrimenti, spiegarsi il perché Bashar al-Assad, discusso presidente siriano, sia stato decorato dalla Repubblica italiana e ci sia voluta la mobilitazione di 75 senatori per far esplodere il caso. O, ancora, perché sia stato Cavaliere di Gran Croce il kazako Nazarbayev, «mandante» politico dell’espulsione della Shalabayeva. Ma per scoprire qualche nomina scomoda basterebbe uno sguardo all’elenco di chi fu insignito e poi è defunto. Vi si troverebbero i coniugi Ceausescu, dittatori della Romania, il Maresciallo Tito e persino Mobutu Sese Seko, dittatore del Congo, decorato nel ’73.

Di fronte a simili personaggi, il caso di Silvio Berlusconi, autosospesosi per evitare una certa espulsione, impallidisce. Che ci sia stato anche in questo caso un certo “accanimento” nei confronti dell’ex premier lo conferma una rapida scorsa ai nomi dei membri della Federazione Nazionale Cavalieri del Lavoro, l’istituzione alla quale i Cavalieri aderiscono dopo essere stati “insigniti”. Vi si scoprirebbe, ad esempio, che l’unico caso di Cavaliere espulso è quello di Callisto Tanzi. La “cacciata” avvenne solo sette anni dopo il crac Parmalat, anche perché la Federazione decise di aspettare la condanna definitiva. Simile «cortesia» non è stata usata per Berlusconi, la cui procedura era stata avviata prima della conferma in Cassazione dei due anni di interdizione. Soprattutto per la spinta del Conte Pietro Marzotto, che da gennaio invocava la cacciata di Silvio per «indegnità».

Peccato che Marzotto non si sia accorto che Cavaliere del Lavoro è ancora, per dirne una, Cesare Romiti, che nel 2010, da ad di Fiat, fu condannato per falso in bilancio (poi depenalizzato) e finanziamento illecito ai partiti. Così come sono ancora Cavalieri del Lavoro decine e decine di indagati. Da Luigi Abete a Corrado Passera, da Giovanni Bazoli all’arcinemico di Berlusconi, Carlo De Benedetti.

Ma ha senso ancora un’istituzione come quella dei Cavalieri, risalente addirittura al 2001? A leggere sul sito dell’«ente morale», come la Federazione si autodefinisce, grazie alle quote degli iscritti vengono promosse borse di studio per studenti meritevoli e aiutati economicamente altri “Cavalieri” o le loro famiglie finite in disgrazia. Basta a giustificarne l’esistenza? Chissà. Ma tra tante perplessità, c’è almeno la certezza che i titoli al merito della Repubblica non offrono vantaggi economici, se è vero che i decorati – raccontava Report un anno fa – devono finanche comprarsi a proprie spese la “medaglietta” in un negozio accanto a Palazzo Chigi. Insegne che, paradossalmente, possono essere acquistate per qualche centinaio d’euro da qualsiasi privato cittadino. Ma occhio a non esibirle in pubblico. Sareste accusati di millantato credito. (Il Tempo)

Segui ilfogliettone.it su facebook
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Se avete correzioni, suggerimenti o commenti scrivete a redazione@ilfogliettone.it


Commenti