Renzi fa il bello e il cattivo tempo. Ma per Mattarella va bene così

Renzi fa il bello e il cattivo tempo. Ma per Mattarella va bene così
28 giugno 2015

di Daniele Di Mario

o-RENZI-MATTARELLA-I buoni propositi ad oggi sembrano rimasti lettera morta. Quando Sergio Mattarella, il 3 febbraio scorso, giurò in Parlamento avviando formalmente il proprio settennato al Quirinale, fu molto chiaro con il presidente del Consiglio Matteo Renzi. Nel corso del suo discorso alla Camera, il presidente della Repubblica invitò il governo a non travalicare i confini costituzionali del potere esecutivo a scapito di quello legislativo. Mattarella, in effetti, fu molto esplicito nell’indicare il Parlamento quale luogo deputato all’iniziativa legislativa e al perfezionamento dell’iter di formazione delle fonti del diritto. Fu altrettanto esplicito nell’invitare il governo a non abusare della decretazione d’urgenza e dei voti di fiducia, per non svilire il ruolo delle Camere. Quanto all’Italicum e alle riforme costituzionali, pur sottolineando la necessità di procedere all’approvazione della nuova legge elettorale e a mettere mano al bicameralismo perfetto e al Titolo V, il Capo dello Stato assicurò che il suo ruolo di arbitro sulla puntuale applicazione delle regole sarebbe stato imparziale, chiedendo “correttezza” ai “giocatori”. A distanza di quasi cinque mesi dal suo insediamento al Quirinale, le parole di Mattarella non sembrano essere state prese troppo in considerazione dal premier Renzi. Né dal Colle si ricordano prese di posizione porre un freno allo strapotere renziano, nonostante gli appelli della stessa minoranza Pd – Cuperlo in testa – e degli ormai ex Dem Civati e Fassina. Qualche numero per comprendere meglio. Quello guidato da Renzi è il governo che ha posto più questioni di fiducia. E il tutto in meno di un anno e mezzo, essendo il premier entrato a Palazzo Chigi il 22 febbraio 2014.

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Il rapporto tra leggi approvate e fiducie è superiore al 49% secondo i dati diOpenpolis : praticamente una legge su due viene licenziata con un voto di fiducia. Nessun presidente del Consiglio dai tempi del primo governo Prodi ha fatto meglio (o peggio): secondo in classifica il governo Monti (45%), terzo il governo Prodi II (33%). Sull’Italicum il governo ha posto ben quattro fiducie e questo nonostante Mattarella nel suo discorso d’insediamento abbia spiegato che, sulla legge elettorale, “le singole soluzioni competono al Parlamento, nella sua sovranità”. Quattro voti di fiducia su una legge che ha come obiettivo condividere con tutti, maggioranza e opposizione, le regole del gioco non sono proprio in linea con gli auspici di Mattarella, il quale, tuttavia, in quella circostanza non ha fatto una piega nonostante le proteste di minoranza Pd, opposizioni e pezzi della maggioranza, tutti convinti che l’Italicum contenesse profili di incostituzionalità non rilevati dal Quirinale. L’ultima fiducia è stata invece messa dal governo Renzi al Senato per blindare il maxiemendamento dell’esecutivo sulla riforma della Scuola e la prossima verrà posta alla Camera, sempre sul ddl Scuola. Porre la fiducia sul maxiemendamento vuol dire però impedire ogni dibattito parlamentare, pregiudicare la possibilità di emendare il testo. Insomma, esautorare il Parlamento delle sue prerogative, come denunciato dalle opposizioni che chiedono da tempo un intervento dal Colle che però non arriva. Nel discorso a Montecitorio Mattarella aveva però ammonito anche sull’abuso di decretazione d’urgenza. Renzi viene infatti spesso accusato di fare eccessivo uso dei decreti legge, sostituendo il potere esecutivo a quello legislativo e scippando al Parlamento l’iniziativa legislativa.

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Come tutte le democrazie, l’assetto costituzionale italiano si basa sul principio della divisione dei poteri. Il governo è il detentore del potere esecutivo, quello legislativo è in mano al Parlamento. Nonostante questo, la nostra Costituzione prevede che anche il governo concorra alla produzione legislativa attraverso decreti legge e decreti legislativi. In quest’ultimo caso il governo legifera sulla base di una legge delega votata dalle Camere. Il governo Renzi è riuscito a porre la fiducia anche su una legge delega, quella sul Jobs Act, caso più unico che raro. I numeri però rivelano che Renzi non è il premier che nella Seconda Repubblica ha fatto più uso di decreti legge, un record che spetta al primo governo Prodi. Il punto però è un altro. L’articolo 77 della Costituzione subordina il potere del governo di emanare decreti legge a casi “di necessità di urgenza”. Circostanza che sta assumendo un’interpretazione tutta sua. Anche la presidente della Camera Laura Boldrini ha accusato il governo Renzi di un utilizzo eccessivo dei decreti legge. Da più parti è giunto l’allarme per la mancanza di necessità e urgenza su molti testi varati dall’esecutivo. La produzione legislativa è ormai un’esclusiva del governo come testimonia l’agenda dei lavori di Camera e Senato. Eppure, di fronte all’abuso della decretazione d’urgenza, che si tramuta in un escamotage per portare alle Camere leggi bell’e fatte con l’obbligo di convertirli entro 60 giorni, chiedendo di fatto una ratifica coatta al Parlamento, sinora Mattarella non ha ancora detto nulla. Un atteggiamento che stride con l’iperattivismo e l’interventismo di Napolitano, ma anche con le picconate di Cossiga e gli “intrighi” di Scalfaro. Ma è anche vero che i presidenti della Repubblica tendono a cominciare a esercitare tutte le proprie prerogative previste dalla Costituzione dopo il primo semestre. Mattarella è in tempo.

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