di Daniele Di Mario
Una cena, organizzata “per scaramanzia” nello stesso ristorante in cui venne lanciata la candidatura al Quirinale di Sergio Mattarella, per festeggiare l’elezione di dieci consiglieri regionali. Ma, soprattutto, per fare il punto dopo le elezioni e ribadire un concetto: giù le mani da Matteo Renzi e dal Partito della Nazione, perché il Pd sui territori non ha bisogno di più sinistra, ma, semmai, di meno sinistra. La risposta alle accuse di Roberto Speranza insomma non si fa attendere. All’incontro partecipano, oltre ai neoeletti, più di venti parlamentari del Pd ed esponenti dei corpi intermedi, “amici” che amano definirsi renziani convinti, ma tutti della medesima area culturale, quella popolare e riformista di cui fa parte Giuseppe Fioroni. Guai, però, a chiamarli ex democristiani: tra loro in molti non hanno mai militato né nella Dc né nel Ppi. Guai anche a definirli una corrente all’interno del renzismo, perché – spiegano – “siamo tutti renziani”. Insomma, nessuna frammentazione all’interno della maggioranza Pd. Al centro della cena il rilancio del progetto politico di Renzi, ponendo alcuni punti fermi: Matteo quando ci mette la faccia prende il 40,8%; il Pd, tuttavia – spiegano – resta una specie di centauro, metà uomo con la faccia del premier, metà bestia, con le facce degli ex Ds che guidano i partiti locali. A livello territoriale il Pd resta amministrato da cinquanta sfumature di rosso che vanno da Martina ai giovani turchi, fino ai giovani turchi diventati renziani, passando per Sinistra Dem e Area Riformista ormai spaccata tra chi vuole continuare a dialogare col segretario e chi, come Speranza, chiede più sinistra nel Pd.
Senza dimenticare la transumanza continua di ex Ds diventati renziani più per opportunismo che per convinzione. La guida periferica appartiene ancora alla Ditta cara a Bersani, che ora scarica sul Nazareno i risultati deludenti di regionali e amministrative. L’attacco a Lorenzo Guerini, ma anche a Luca Lotti, stride con la geografia locale del partito.
Di qui la linea ribadita dai renziani popolari riformisti: Renzi deve insistere e fare il “Renzi 1” convincendo i moderati che ingrossano le fila dell’astensionismo a tornare alle urne, conquistando quanti sceglierebbero Renzi ma non voterebbero mai questo Pd a livello locale. La missione è proprio questa: non più sinistra sui territori, ma meno sinistra per sfondare al centro e conquistare quei moderati che non seguono e non seguiranno mai Grillo e Salvini. Il Partito della Nazione va quindi non abortito, ma rilanciato. Un progetto politico indipendente dalla legge elettorale con l’obiettivo di aprire le porte del Pd a nuove forze civiche e parlamentari, trasformando il partito partendo dalle guide locali. Un New Labour in salsa italica per trasformare il Pd di Renzi in una casa aperta a soggetti nuovi.
“Il Pd – spiega Fioroni – è nato come partito federale con una grande autonomia dei territori. L’autonomia, tuttavia, va coniugata con la responsabilità dei gruppi dirigenti regionali e locali. I maldestri tentativi di scaricare le responsabilità dimostrano la fragilità e l’inadeguatezza della classe dirigente periferica. È troppo facile vincere con Renzi e far ricadere poi su Renzi colpe di scelte politiche locali”. Fioroni osserva come nessun dirigente regionale o locale si sia dimesso in seguito alla sconfitta, anzi – accusa – c’è chi “si arrocca con arroganza nel rimanere al proprio posto. Dal Veneto alla Sicilia tutto resta immutato. È ora di dire basta: i partiti locali si assumano le proprie responsabilità senza autoassoluzioni, facciano un passo indietro. Bisogna aprire un confronto con la gente e la società civile per dar vita a quel cambiamento che in periferia è avvenuto all’insegna di un opportunismo gattopardesco”. Il Pd, per Fioroni, “sarà vincente se federale e potrà contare su gruppi autorevoli e responsabili. Troppo comodo scaricare sulle primarie le sconfitte”. E per farlo il Partito della Nazione, con una sinistra riformista e più moderati e società civile, è l’unica via percorribile.