di Maurizio Balistreri
Un po’ raduno di reduci, un po’ manifestazione dell’orgoglio: l’assemblea “Scuola lavoro democrazia, futuro a sinistra”, promossa da Stefano Fassina al teatro Palladium di Roma, nel cuore del rione Garbatella, un tempo inespugnabile feudo rosso, è la “festa dell’indipendenza da una sinistra rassegnata e subalterna, vincente senza vittoria”. L’ex viceministro uscito dal Pd mette insieme dirigenti e militanti delusi (i più noti Sergio Cofferati e Pippo Civati, ma c’è anche il bersaniano Alfredo D’Attorre che dal Pd non è uscito) e pezzi della sinistra un tempo definita “radicale”, da Nicola Fratoianni di Sel a Paolo Ferrero di Rifondazione a Manuela Palermi del Pdci, oggi Pcdi. Punta al bacino degli astenuti ma il punto unificante, la sfida che si potrebbe vincere già domani – indirettamente – è quella del referendum greco sulle proposte della troika. Non a caso, l’intervento più apprezzato dalla platea è quello di Argiris Panagopoulos, il rappresentante in Italia di Syriza, il partito del premier greco Alexis Tsipras. “Siamo compagni”, proclama, e parte il primo applauso; “Tsipras ha fatto il suo primo viaggio da premier in Italia da Renzi, e tutto quello che ne abbiamo ricavato è una cravatta inutile”, battimani convinto; “non ho comprato l’Unità, fondata da Antonio Gramsci e passata al liberismo barbaro di Angela Merkel”, quasi viene giù il teatro per l’entusiasmo dei presenti. Per Fassina, del resto, “il governo Tsipras ha ridato senso alla democrazia”.
L’ex viceministro del governo Letta non ha il piglio dell’oratore, parla ai suoi con un puntiglioso discorso scritto, indica gli obiettivi della sua “sinistra di governo”: referendum contro la “buona scuola”, stop al trattato di libero scambio Usa-Ue, il Ttip, correzione “autocritica” dell’inserimento del pareggio di bilancio in Costituzione, piano di investimenti “in piccole opere immediatamente cantierabili affidate ai Comuni”, attacco alla povertà attraverso l’adozione di un “reddito di dignità o di cittadinanza ma orientato al lavoro”. Il traguardo lontano è “un partito”, primo interlocutore è Sel “che da tempo si è messa a disposizione”, ma nell’immediato propone comitati promotori sul territorio e indica le amministrative 2016 come prima prova pratica del nuovo soggetto. L’identità, Grecia a parte, della nuova formazione, si propone di recuperare “la Costituzione come programma fondamentale”, ma si afferma anche attraverso le negazioni: no all’Europa della “gabbia mercantilista dell’euro che ha aggravato gli effetti della globalizzazione”, no al Pd “partito degli interessi forti, di Marchionne, degli affari”.
Ma attenzione, “Renzi – dice Fassina che pure aveva iniziato il discorso rivendicando di essere fra quanti avevano costruito il Pd – non è un usurpatore ma l’interprete estremo e più abile del Lingotto. La carta di identità del Pd era quella, anche se timidamente contraddetta dalla segreteria di minoranza di Pierluigi Bersani”. A fine relazione, prova a motivare i presenti con un guizzo di nostalgica fantasia. “Rassegnarsi alla dittatura del presente sarebbe la vera sconfitta”, avverte, e cita una canzone anni 70 che invita a non deporre i sogni in un cassetto: “Ricordate l’isola che non c’è? Chi ci ha già rinunciato e ci ride alle spalle, diceva Edoardo Bennato, forse è ancora più pazzo di noi”. Per Pippo Civati – tra i partecipanti alla manifestazione -il Partito democratico “è ormai un partito di centro” e per questo motivo “c’è un grande spazio alla sua sinistra”. “Qui oggi – conclude – ci sono storie diverse, secondo me la prima tappa è fare un movimento che abbia un profilo di governo, che mobiliti le persone e che scelga di organizzarsi in modo inedito”.