Venti anni fa la si apriva la ferita di Srebrenica, un massacro che per molti versi resta una ferita aperta per tutta l’Europa. E non solo. La strage di Srebrenica fu un crimine della guerra in Bosnia ed Erzegovina. L’11 luglio 1995 migliaia di musulmani bosniaci, tra gli 8.000 e i 10 mila, furono trucidati dalle truppe serbo-bosniache guidate dal generale Ratko Mladic, con l’appoggio di milizie paramilitari nella zona protetta di Srebrenica che si trovava sotto la tutela delle Nazioni Unite, nello specifico del Dutchbat, il contingente olandese d’interposizione. Gli uomini dai 12 ai 77 anni furono separati dalle donne, dai bambini e dagli anziani per essere massacrati e sepolti in fosse comuni. Fatima, Rejha e Sabaheta hanno perso figli, fratelli e mariti in quel genocidio e quell’antica ferita non si è ancora rimarginata. Il tempo è un buon medico, ma a volte non basta. “Ho perso i mie tre figli, mio marito e mio fratello, ricorda Fatima. I miei figli non erano sposati e non ho avuto figlie. Perciò sono rimasta sola. Alcuni pezzi del cadavere di mio figlio vennero recuperati nel 2008. Non erano nemmeno metà del suo corpo”. Il suo dramma è anche quello di Rejha, un’altra vittima bianca di Srebenica. “Vorrei seppellire mio marito ma hanno trovato solo dei resti. Mi hanno ucciso anche due figli e un fratello. E non riesco a contare i figli di mia zia e dei miei zii che sono stati uccisi, perché sono troppi”. In Europa sono caduti i muri della vergogna. Quelli dell’odio sono ancora in piedi. Anche a causa di memorie rimosse o dimenticate. (Immagini Afp)