di Laura Donato
“Vorrei assolutamente evitare di incarnare ciò che Furtwangler definiva come tradizione: l’ultimo brutto ricordo dell’ultima brutta recita cui si è assistito”. Enrico Stinchelli, musicologo, regista, giornalista, nonché da più di venti anni ideatore e conduttore de La Barcaccia, la trasmissione di Radio 3 dedicata all’opera lirica, è categorico nel presentare il suo impegno a Taormina, come direttore artistico, nonché regista degli spettacoli e titoli che dal 15 al 20 agosto saranno messi in scena al Teatro Antico per il Taormina Opera Stars.
E come pensa di fare?
“Cercando di innovare, di creare qualcosa di diverso. La formula del Taormina Opera Stars è già una novità. L’essere riusciti a creare delle produzioni, dei cast lirici, attraverso delle audizioni in tutta Italia, cui hanno partecipato candidati provenienti da tutto il mondo, uscendo dai concorsi e ingaggi pilotati dalle Agenzie liriche, è una grande conquista. Un lavoro immane, che ci ha premiato portandoci a scoprire voci che, andando avanti con le prove, hanno mostrato potenzialità inaspettate ed eccezionali”.
Novità è anche portare sul palco quattro Violette per Traviata, o l’orchestra stessa, o ambientare Aida in un Museo – anche se questo si è visto ad esempio con Trovatore al Festival di Salisburgo.
“Sì è vero, ma abbiamo cercato, ovviamente di discostarci da quello. Qui è come se le statue di un museo egizio prendessero vita, rendendo speciale la notte di un ovvero custode. Mi consola comunque, anche se l’idea era nata prima, che lo stesso Muti abbia dichiarato che Aida sarebbe ben ambientata se rappresentata in un museo. Una strana figura, quindi, a metà tra una maga e una dea evocherà gli spiriti di Aida e Radames e animerà i geroglifici e le misteriose figure che il museo ospita e sarà la vicenda di Aida a dipanarsi sotto i nostri occhi, come un magico rituale (che poi è quello immaginato da Verdi, che non mise mai piede in Egitto) Verdi ne rievocò le suggestioni e le atmosfere, con la bravura immaginifica del genio che era”.
E Traviata?
“Per Traviata si è trattato anche di venire incontro ad esigenze di cast. Verdi stesso sosteneva che per Violetta ci volevano quattro soprani, dal leggero, di coloratura al drammatico, in modo da coprire le esigenze della partitura. Un solo soprano, nella storia dell’opera lirica, ha, a mio parere, incarnato le quattro tipologie vocali: Maria Callas. Non potendo avere una seconda Callas ecco l’idea di una diversa Violetta per ogni atto. E questo ha permesso inoltre di poter mettere in evidenza quattro splendide voci, estremamente diverse tra loro, scoperte durante le audizioni”.
Quali a questo punto le novità di Nabucco in scena?
“Anche qui ho voluto evitare il Nabucco oleografico, tradizionale, volte un po’ comico, composto da barbe finte e scudi di latta. Ho cercato di vedere Nabucco che rinasce dalle sue ceneri, attraverso la sensibilità e gli affetti dei cantanti. Le angosce e i dubbi del protagonista diventeranno le angosce e i dubbi dell’interprete, il soprano troverà l’Abigaille che è in lei, la coppia Ismaele-Fenena sarà veramente una coppia che si ama rischiando la vita….tutto questo in un 2015 che agirà appunto sulle ceneri del Nabucco, sui resti di un Nabucco tradizionale che abbandonerà i suoi costumi e le sue attrezzerie a terra, come dopo una cruenta battaglia”.
Tutto questo è molto interessante considerato che oggi la regia tende a scioccare più che dare reali letture innovative.
“L’Opera parla il linguaggio universale della musica, già di per sé. Sul tracciato del testo, che è un percorso drammaturgico preciso, gli artisti devono trasmettere i messaggi più profondi e anche quelli più superficiali, che sono ugualmente importanti. Il regista offre una chiave, delle prospettive (si auspicano sempre prospettive interessanti, varie, nuove, stimolanti) , poi ognuno troverà in sé stesso quel tanto delle opere che sono in sé”.
Quale allora la strategia per rilanciare la lirica e renderla più appetibile alle nuove generazioni?
“Le generazioni cambiano, i tempi cambiano, il clima cambia , tutto. L’Opera, senza snaturarsi, deve essere proposta al pubblico come un genere bellissimo, articolato, NUOVO nonostante i libretti usino un linguaggio obsoleto. È vero che non si possono fare i baffi alla Monna Lisa di Leonardo, ma è anche vero che non si può ammirare questo capolavoro a lume di candela! Vi sono certe regìe in cui si lavora ancora con i piazzati di luce stile anni 40 del secolo scorso!!! Non si può più. Questo vuol dire uccidere l’Opera”.
E le voci? Quali sono oggi? Molti, anche nei commenti alla Barcaccia, non fanno altro che paragonare le voci del passato, rimpiangendole.
“Le voci ci sono. Basta cercarle, ascoltarle. È quello che abbiamo fatto con le audizioni del Taormina Opera Stars. Certo la memoria storica va coltivata. Ma non esistono più i Corelli, i Del Monaco, o le Callas. Tante dive e divi di oggi, hanno caratteristiche diverse, vocali, interpretative, ma sono molto diverse. Inoltre è una questione anche di tecnica. Oggi si va molto di imitazione, e i modelli sono cambiati. I tenori, i soprani di oggi sono il risultato di queste imitazioni. Si dovrebbe riscoprire la tecnica vocale vera, quella di una volta. Il pubblico però deve capire che non può andare a teatro aspettandosi di trovare le voci del passato, deve invece imparare a cogliere le peculiarità e le qualità degli interpreti di oggi. Si deve andare di fiore in fiore, a volte si riesce ad avere il momento magico, a volte no. Ma questo avveniva anche in passato. Ecco quindi che il nostro compito è quello di aprire un varco, consentire ai giovani di mostrarsi, fuori dalle leggi delle agenzie. Un teatro di servizio di tutti e per tutti, pubblico e artisti”.