Il Nabucco di Stinchelli a Taormina, una ‘rivoluzione’ a metà

Il Nabucco di Stinchelli a Taormina, una ‘rivoluzione’ a metà
17 agosto 2015

nabucco2 stinchellidi Laura Donato

Cosa può oggi rendere l’opera più appetibile al pubblico? Quale può essere la vera innovazione nel mettere in scena un’opera? Forse il coraggio di mettere il Re a nudo. Resettare. Riportare il tutto alle origini, o, se si vuole, al “peccato originale”. Ritornare alla musica, alle voci. Questa potrebbe forse essere la vera rivoluzione in campo operistico. Buttare giù dal palco i tanti nuovi e vecchi “registi” e riscoprire la vera essenza di una partitura: le note, i segni d’espressione, le didascalie. È il tentare il tutto per tutto, magari in forma da concerto, o in forma semi scenica, eliminando inutili e, spesso obsoleti, orpelli presi chissà da quale sartoria o agenzia di costumi e arredi di scena, puntando su esecuzione musicale e voci. Del resto è quest’ultima un’usanza che direttori – Antonio Pappano a Santa Cecilia – e Festivals – Salisburgo su tutti – stanno adottando, vuoi per una questione di spending review, vuoi forse, per riconciliare il pubblico con l’opera in musica. Una soluzione che sicuramente avrebbe, forse, reso più originale il Nabucco andato in scena ieri sera al Teatro antico di Taormina per il Taormina Opera Stars, nuova manifestazione operistica, ideata dall’associazione taorminese Aldebaran e che ha trovato in Enrico Stinchelli, noto autore de La Barcaccia di Radio 3, il suo mentore e direttore artistico, nonché regista.

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Del resto l’orchestra sul palco – anche se relegata, quasi a mo’ di comprimaria, sul fondo di esso con tanto di direttore oscurato da un obelisco situato su un cigolante praticabile al centro della scena – e il coro – poco più di una trentina di elementi tra settore maschile e femminile – in abito scuro, disposto quasi sempre ai lati della stessa struttura, suggerivano questa possibile scelta scenica; come anche gli abiti da sera indossati dalla soprano Rebeka Lokar, Abigaille, e la mezzosoprano Antonella Carpenito, Fenena, e le varianti da smoking degli interpreti maschili, a cominciare da Alberto Gazale, nel ruolo del titolo, ai due bassi Ernesto Morillo e Antonio Di Matteo – rispettivamente Zaccaria e il Sacerdote di Belo – sino all’Ismaele di Alfio Marletta Valori e l’Abdallo di Alessandro Cosentino. O forse si sarebbe adattata meglio la forma semi scenica, considerato che questi ultimi, insieme all’Anna di Angelica Meo, e al corpo di ballo – Danza Taormina – indossavano elementi di vestiario variamente adattabili a opere diverse – da mantelli, a veli, a tuniche, “armature”, a minigonne e abitini di strass e paillettes – e che scarni elementi scenici tentavano di riempire l’ampio palcoscenico del teatro: a parte la struttura centrale, due alti bracieri, un paio di scudi a terra, l’immancabile trono del secondo atto, la statua del dio Belo.

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Molto meglio una sobria esecuzione, piuttosto che una poco chiara idea che non riesce oggettivamente a dipanarsi tra una dorata e non ben specificata divinità simboleggiante, forse, l’estro musicale verdiano, sgambettanti ballerini in opinabili coreografie firmate da Alessandra Scalambrino, e una bimbetta stile Shindler’s list che vaga tra gli ebrei – tali dovevano essere nonostante le tuniche di foggia romana – e che svia invece l’attenzione dalla musica e dalle voci. Voci queste ultime belle, interessanti, tutte scelte – a parte Alberto Gazale, un Nabucco incisivo, musicale, dalle belle linee, ormai più che affermato nome del panorama operistico internazionale – all’interno di selezioni internazionali effettuate nei mesi scorsi. Voci che avrebbero espresso tutto il loro potenziale con un supporto orchestrale diverso. Il direttore Eddy de Naday poco infatti ha fatto sul versante delle dinamiche e della concertazione: l’orchestra è infatti apparsa più volte in difficoltà – fuori tempo, in particolare nei concertati – miracolosamente eclissata dalle voci degli interpreti. Su tutte quella di Rebeka Lokar, ottima Abigaille, sicura, sfrontata, ma anche tenera e innamorata, capace di impeti d’ira e dolci ripiegamenti. Anche la Fenena di Antonella Carpenita non è stata da meno come l’Abdallo di Alessandro Cosentino che avrebbe vestito bene anche i panni di Ismaele, purtroppo non così eroicamente evidenziato, nonostante il, non sempre in tono, canto spiegato di Alfio Marletta Valori. Bene anche i due bassi Ernesto Morillo, Zaccaria, e Antonio Di Matteo, Il Sacerdote di Belo e la soprano Angelica Meo, Anna. Il pubblico ha dimostrato di apprezzare comunque le voci e lo spettacolo tributando agli interpreti un caloroso e meritato applauso e ottenendo il richiesto bis del Va, pensiero…

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