di Carlantonio Solimene
Andare in pensione qualche anno prima? Per gli italiani è un sogno, specie da quando la riforma Fornero ha allontanato di parecchi mesi il miraggio dell’ultimo giorno di lavoro. E, per realizzarlo, sarebbero disposti anche a rinunciare a diverse centinaia di euro sull’assegno erogato dall’Inps. Ma c’è una categoria di lavoratori ai quali, invece, basta lavorare per dieci anni per vedersi scontata di un lustro l’attesa per ricevere la tanto agognata pensione. E senza dover rimetterci un euro. Si tratta, manco a dirlo, dei parlamentari della Repubblica. Per loro la flessibilità in uscita dal lavoro esiste, eccome. E non è affatto a “costo zero” per le casse dello Stato, come auspicato da Renzi quando si è trattato di ipotizzare l’anticipo della pensione per i comuni cittadini. A portare alla luce l’ennesimo privilegio della casta è stato il MoVimento 5 Stelle, che è andato a ripescarsi il comma 2 dell’articolo 2 dello “Schema di regolamento delle pensioni dei deputati”. Vi si legge che “per ogni anno di mandato parlamentare oltre il quinto anno, l’età richiesta per il conseguimento del diritto a pensione è diminuita di un anno, con il limite all’età di 60 anni”. Sostanzialmente, ogni anno supplementare dopo una legislatura completa di cinque anni, permette di anticipare la pensione di dodici mesi rispetto ai 65 anni stabiliti. Chi sta sei anni a Montecitorio può ricevere l’assegno dai 64, chi tocca i sette può godere dal vitalizio già dai 63 e via dicendo fino al minimo dei 60 anni.
“Mentre la criminale legge Fornero costringe i cittadini a lavorare più di 40 anni per ottenere una pensione da fame – attacca il grillino Riccardo Fraccaro – i deputati dei partiti hanno diritto al bonus che gli consente di andare in pensione già a 60 anni con sole due legislature intascando migliaia di euro. Renzi toglie i soldi ai cittadini onesti per darli alla casta che lo ha nominato”. “Porteremo questo scandalo in Ufficio di Presidenza e continueremo a batterci finché non verrà cancellato – continua Fraccaro – così come abbiamo fatto per tanti altri vergognosi privilegi”. Di fatto i vitalizi dei parlamentari non smettono mai di far discutere. La riforma entrata in vigore dal primo gennaio 2012, infatti, non ha cancellato gli aspetti più controversi del sistema pensionistico i cui assegni, va ricordato, vengono erogati non dall’Inps ma direttamente da Camera e Senato. Prima della riforma, infatti, deputati e senatori potevano ricevere la rendita dopo aver svolto appena un mandato (anche in caso di chiusura anticipata della Legislatura) e dopo aver compiuto il 65esimo anno di età.
A far discutere, inoltre, era la portata dell’assegno: versando solo l’8,6% dello stipendio da parlamentare, deputati e senatori ottenevano la bellezza di oltre tremila euro mensili dopo appena 5 anni di mandato. Ora questo sistema è stato reso molto più equo. Dal primo gennaio 2012, infatti, per ottenere il vitalizio da parlamentare occorrono cinque anni effettivi di lavoro alle Camere e, inoltre, l’entità dell’assegno viene calcolata con il sistema contributivo. Ma le nuove regole valgono esclusivamente per la parte di pensione che viene maturata dopo il 31 dicembre 2012. In pratica, chi era in Parlamento già nelle passate legislature e ci è rimasto, percepirà una quota consistente del proprio vitalizio calcolata con le regole del retributivo. Inoltre, come detto, resta la possibilità di anticipare l’arrivo dell’assegno anche a 60 anni. Anche in virtù di tutti questi cavilli la spesa per i vitalizi di Camera e Senato ha continuato ad attestarsi su livelli notevoli, oltre 230 milioni di euro l’anno. Decisamente non male, per una platea di un migliaio di fortunati.