Manifesto Cristo in Plaza de la Revolucion per Papa

Manifesto Cristo in Plaza de la Revolucion per Papa
18 settembre 2015

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 di Enzo Marino

Uno scroscio improvviso di pioggia spazza Plaza de la Revolucion mentre gli operai provano gli altoparlanti con una musica liturgica a tutto volume. L’Avana si prepara all’arrivo di Papa Francesco, il primo latino-americano della storia, un Pontefice che alla messa di inaugurazione del Pontificato incentrò l’omelia sul concetto di “tenerezza”, e subito qualcuno pensò alla “tenerezza” evocata da un altro argentino, Ernesto “Che” Guevara. In Plaza de la Revolucion campeggia il suo profilo in ferro su un fianco di un palazzo, con la scritta “Hasta la Vvictoria siempre”, su un altro edificio si staglia il volto di Fidel Castro, il lider maximo della rivoluzione comunista che Francesco incontrerà (domenica?) ormai anziano e malandato, di fronte il monumeto a José Martì, l’intellettuale che per primo dette vita, rimanendo ucciso, all’indipendentismo dell’Isla grande dal dominatore spagnolo. Ma 18″Vengan a mi”, venite a me, e, di fronte, una foto in cui si intravedono il Papa e madre Teresa sotto la scritta “Misonero de la misericordia”, missionario della misericordia. Mentre Cuba si prepara alla transizione che seguirà la definitiva normalizzazione dei rapporti con gli Stati Uniti, grazie anche alla mediazione di Papa Francesco, il cristianesimo emerge sempre più, nella scenografia voluta dal governo castrista, come un sicuro punto di riferimento. Granma, il quotidiano ufficiale del partito comunista di Cuba, apre la prima pagina con la foto di Papa Francesco.

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“Arriverà a Cuba Papa Francesco”, scrive il quotidiano, che poi riporta la biografia del Papa. Nel taglio basso, la notizia che Barack Obama ha ricevuto il nuovo ambasciatore cubano per la presentazione delle lettere credenziali. Il “Papa dei poveri”, sempre per citare Granma, il Papa che parla del “popolo di Dio”, sembra l’uomo destinato a rappresentare per il regime castrista la sponda necessaria per tornare a parlare con gli Stati Uniti senza rinunciare alla propria diversità. “E’ con ospitalità, affetto e rispetto”, scrive sempre Granma riecheggiando le parole di Raul Castro all’assemblea nazionale, che il “popolo” cubano attende la visita all’arcipelago, un popolo “la cui rivoluzione coincide – in volontà generale e gestione reale – con la rivendicazione dei più umili, senza eufemismi né eccezioni”. La strada è ancora lunga. Rimangono il campo di Guantanamo non ancora chiuso, i prigionieri politi a Cuba, l’embargo (“Il più grande genocidio della storia”, recita un cartellone, con il cappio dell’impiccato e una ragnatela, lungo la strada che percorrerà il Papa in papamobile. Gli Usa, comunque, hanno deciso di alleggerire il “bloquero” proprio alla vigilia della visita del Papa, raccogliendo l’apprezzamento del cardinale dell’Avana Jaime Ortega (“E’ un segno straordinario”, dice alla Radio vaticana). Altri potrebbero arrivarne. Certo i cubani, che pure hanno già ricevuto Giovanni Paolo II (1998) e Benedetto XVIO (2012) ed iniziano ad “abituarsi” alla presenza, straordinaria, di un Papa nel loro paese, sperano che la visita di Francesco, che poi proseguirà per gli Stati Uniti, accelererà una fase di cambiamento senza travolgerli.

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