Cent’anni compiuti a fine marzo, si è spento oggi Pietro Ingrao. Storico leader del Pci, ”comunista eretico senza scisma”, secondo la definizione di Fausto Bertinotti, e punto di riferimento della sinistra italiana. Pietro, nipote di Francesco Ingrao, un mazziniano, poi garibaldino, in fuga dalla Sicilia, nasce a Lenola, in provincia di Latina, il 30 marzo del 1915. Secondogenito di una famiglia di quattro figli. Prima di lui vedono la luce Francesco, poi Anna e Giulia. Dopo gli studi classici a Formia, si trasferisce a Roma, dove si laurea in Giurisprudenza e in Lettere e Filosofia. Ventenne, a cavallo degli anni ’30, è allievo regista presso il Centro sperimentale di cinematografia nella Capitale, per una passione, quella per la settima arte, che lo seguirà per tutta la vita.
Nel 1936 matura la scelta politica a favore del Pci, l’antifascismo diventa militante, e Pietro viene in contatto con Lucio Lombardo Radice e sua sorella Laura, che sposerà nel 1944. Ingrao si muove nella clandestinità, spostandosi tra la Lombardia e la Calabria, su e giù per lo Stivale.
Il 26 luglio 1943, il giorno dopo la caduta del duce, è tra gli organizzatori del comizio di Porta Venezia a Milano, in prima fila con Vittorini. Nel 1945 nasce Celeste, la prima figlia, seguiranno Bruna (1947), Chiara (1949), Renata (1952) e Guido (1958).
Negli anni dello stalinismo e della Guerra fredda, Ingrao è direttore dell’Unità, incarico che ricoprirà fino al 1956. Dal ’48 entra nel comitato centrale del Pci, venendo eletto deputato per la prima volta.
In Parlamento troverà un seggio, ininterrottamente per quasi mezzo secolo, per ben dieci legislature, fino a quando, nel 1992, si tirerà fuori dalle liste del partito, ai tempi di ‘Tangentopoli’.
Nel 1956, dalle colonne dell’Unità Pietro Ingrao si schiera con i carri armati sovietici che hanno invaso l’Ungheria: “Quando crepitano le armi dei controrivoluzionari, si sta da una parte o dall’altra della barricata”, scriveva Ingrao. Nel 2001 definirà “pessimo” quel suo articolo di fondo.
All’XI Congresso del Pci, nel 1966, il primo dopo l’improvvisa scomparsa di Togliatti, Ingrao si smarca dall’ortodossia stalinista e guida la componente di ‘sinistra’ che si fronteggia con quella di ‘destra’ di Giorgio Amendola.
Ingrao viene messo in minoranza, rivendicando il tema del ‘diritto al dissenso’. Ma molte proposte della sua piattaforma diventeranno linee guida del partito: dalla riflessione sul ‘modello di sviluppo’, alla attenzione da rivolgere al dissenso cattolico e ai movimenti giovanili.
Ingrao però non riesce a mediare quando il partito fa fuori gli eretici de ‘Il Manifesto’. Più volte negli anni si rimprovererà di non aver detto un ‘no’, nel 1969, alle radiazioni di Luigi Pintor, Rossana Rossanda, Aldo Natoli, Luciana Castellina, Valentino Parlato, Lucio Magri, Eliseo Milani, Filippo Maone e tanti altri. Con Rossanda, nel 1995, scriverà un libro ‘Appuntamenti di fine secolo’, con non poche riflessioni autocritiche.
Nel 1968 Ingrao è capogruppo comunista alla Camera dei Deputati. Inizia una stagione di impegno e di riflessione sui temi istituzionali, un decennio che lo vedrà assumere il ruolo di presidente del Centro di Studi e Iniziative per la Riforma dello Stato (CRS) e poi, nel 1976, eletto presidente della Camera dei Deputati, fino al 1979, anno in cui lascia Montecitorio, nonostante Berlinguer lo volesse per un altro mandato.
Da presidente della Camera vivrà i drammatici giorni del sequestro e dell’omicidio di Moro.
Ingrao è tra gli oppositori della svolta della Bolognina, voluta dal segretario del Pci, Achille Occhetto, che decide di cambiare nome al partito. Ma non vuole sentire parlare di scissioni, ed entra, due anni dopo, nel 1991, nel Pds, divenendo il leader dell’area dei Comunisti democratici. Abbandona però il partito nel ’93, aderendo a Rifondazione comunista, partito di cui terrà la tessera fino al 2008.
L’impegno nel partito e nelle istituzioni termina in quegli anni, il vecchio leader si fa da parte, facendo sentire forte la sua voce sui temi della pace, del razzismo, e della democrazia. Nel 2007 pubblica la sua autobiografia, ‘Volevo la luna’.
“Il mondo è cambiato, ma il tempo delle rivolte non è sopito: rinasce ogni giorno sotto nuove forme. Decidi tu quanto lasciarti interrogare dalle rivolte e dalle passioni del mio tempo, quanto vorrai accantonare, quanto portare con te nel futuro”, scrive rivolgendosi alle nuove generazioni il centenario Ingrao.