E’ un film che racconta soprattutto l’uomo Jorge Bergoglio “Chiamatemi Francesco”, il film sul Papa diretto da Daniele Luchetti, nei cinema italiani dal 3 dicembre, venduto già in 40 Paesi. Il regista ha incontrato molte persone che conoscevano Bergoglio e ha ricostruito e portato sullo schermo la sua vita in Argentina, dai vent’anni alla partenza per il conclave che lo ha eletto Papa.Luchetti ha spiegato: “Mi ha colpito molto quando qualcuno mi ha detto: ‘Bergoglio per tutta la vita è stato preoccupato’. Preoccupato anche perché aveva questo fortissimo desiderio di essere utile, e quindi di essere pratico”. Luchetti si sofferma soprattutto sugli anni della dittatura di Videla, sulla vita di Bergoglio tra il 1976 e il 1983, quando criticava la Chiesa argentina che appoggiava il regime, quando cercava di aiutare sacerdoti, seminaristi perseguitati, a volte torturati e uccisi, perché considerati sovversivi, ma mostra anche quando, nominato Vescovo ausiliario di Buenos Aires, continuava la sua missione in aiuto dei più poveri. “Il Papa è intervenuto fortemente dentro la realtà. C’è stato un terrorismo di stato durante gli anni della dittatura e lui era un uomo di potere a soli 37 anni, che aveva a che fare con un mondo veramente molto più grande di lui. Ha vissuto gli anni della crisi economica, che ha espanso la povertà in Argentina a livelli impensabili, e ogni volta è intervenuto da pastore, spiritualmente ma anche praticamente”. Quel prete delle favelas diventato Papa a Roma secondo Luchetti potrebbe avere un ruolo che va al di là del suo essere capo della Chiesa cattolica. “E’ un capo di stato che può dare un’indicazione etica anche a chi è un capo di stato politico. È quello che gli si chiede anche, come laici: il ritorno ad uno Stato, anche etico, che si basi su dei principi universali per l’uomo, che non sia solo basato solo sull’economia, credo sia qualcosa che vince alla fine”.