E’ solo un attimo, ma sembra la rappresentazione plastica del frangente. Alle 11.13 di questa mattina Papa Francesco ha aperto la porta santa di San Pietro, dopo quella della cattedrale di Bangui durante il recente viaggio in Centrafrica. Pone le mani sulle due ante di bronzo, spinge e, per un attimo, la porta sembra resistere. Poi Jorge Mario Bergoglio insiste, e la Porta santa, complici due cerimonieri sul retro, si spalanca. La “spinta” di Bergoglio incontra resistenze, scetticisimi, timori, ma Jorge Mario Bergoglio tira dritto, travolge, per fare uscire la Chiesa, come ai tempi del Concilio vaticano II, “dalle secche che per molti anni l`avevano rinchiusa in sé stessa”. Il Concilio vaticano II (1962-1965) si chiuse esattamente 50 anni fa e rappresentò “una spinta missionaria, dunque, che dopo questi decenni riprendiamo con la stessa forza e lo stesso entusiasmo”, ha detto Francesco nell’omelia in piazza San Pietro. Dopo Albino Luciani, Karol Wojtyla e Joseph Ratzinger, Jorge Mario Bergoglio è il primo Pontefice a non aver partecipato al Concilio e, forse proprio per questo, lo dà per acquisito. Lo applica giorno per giorno, che si tratti di dialogo con le altre fedi, di confronto senza conservatorismi con la modernità, di tono pastorale su tematiche controverse come la sessualità umana o di maggiore ruolo dei laici, dei fedeli, delle Chiese locali. E al Concilio, dopo due sinodi, Francesco vuole tornare con l’anno santo aperto oggi. L’odierna scadenza “non può essere ricordata solo per la ricchezza dei documenti prodotti, che fino ai nostri giorni permettono di verificare il grande progresso compiuto nella fede.
In primo luogo, però, il Concilio è stato un incontro. Un vero incontro tra la Chiesa e gli uomini del nostro tempo. Un incontro segnato dalla forza dello Spirito che spingeva la sua Chiesa ad uscire dalle secche che per molti anni l`avevano rinchiusa in sé stessa, per riprendere con entusiasmo il cammino missionario. Era la ripresa di un percorso per andare incontro ad ogni uomo là dove vive: nella sua città, nella sua casa, nel luogo di lavoro… dovunque c`è una persona, là la Chiesa è chiamata a raggiungerla per portare la gioia del Vangelo e portare la misericordia e il perdono di Dio. Una spinta missionaria, dunque, che dopo questi decenni riprendiamo con la stessa forza e lo stesso entusiasmo. Il Giubileo ci provoca a questa apertura e ci obbliga a non trascurare – ha sottolineato il Papa – lo spirito emerso dal Vaticano II, quello del Samaritano, come ricordò il beato Paolo VI a conclusione del Concilio. Attraversare oggi la Porta Santa ci impegni a fare nostra la misericordia del buon samaritano”. Prima di aprire la Porta santa Papa Francesco abbraccia il suo predecessore Benedetto XVI, poi entra in basilica, si ferma e aspetta nuovamente Joseph Ratzinger per rendergli nuovamente omaggio. Al Papa emerito dedica un applauso che chiede poco dopo ai fedeli all’Angelus. Le misure di sicurezza sono imponenti dopo gli attentati terroristi di Parigi, non c’è la folla straripante delle canonizzazioni di Wojtyla e Roncalli, ma alla fine il colonnato berniniano si riempie di 70mila fedeli, una fila per passare sotto la porta santa continua tutta la giornata e proseguirà fino al 20 novembre 2016. Nel pomeriggio Jorge Mario Bergoglio va a piazza di Spagna, come ogni anno, per l’Immacolata concezione. “Vengo a nome delle famiglie, con le loro gioie e fatiche; dei bambini e dei giovani, aperti alla vita; degli anziani, carichi di anni e di esperienza; in modo particolare vengo a te da parte degli ammalati, dei carcerati, di chi sente più duro il cammino”. Saluta velocemente le autorità, il commissario Tronca, il prefetto Gabrielli, il cardinale Vallini, poi si sofferma con i malati e i fedeli, foto, selfie, abbracci, benedizioni, battute. Ultima tappa, ancora per rendere grazie alla Madonna, a Santa Maria maggiore, nuovo bagno di folla tra i fedeli.
La Chiesa, per Francesco, è conciliare, missionaria, materna. Accoglie tutti, vive del rapporto tra il pastore e il “popolo di Dio”. La rivoluzione copernicana del Papa ruota attorno alla misericordia, concetto evocato dal Papa sin dalle sue prime mosse, quando si rivolse ai confessori di Santa Maria maggiore la mattina dopo l’elezione, quando si rivolse ai fedeli nel suo primo Angelus. Lo aveva già detto al Conclave del 2005, quando fu il più votato dopo Joseph Ratzinger: “Dobbiamo pensare una nuova evangelizzazione con questi due atteggiamenti”, è la conclusione del suo discorso di allora rivelato oggi da Stefania Falasca su Avvenire: “Forte coraggio apostolico e misericordia. Credo che questo deve crescere nella Chiesa”. “Quanto torto – ha detto oggi – viene fatto a Dio e alla sua grazia quando si afferma anzitutto che i peccati sono puniti dal suo giudizio, senza anteporre invece che sono perdonati dalla sua misericordia! Sì, è proprio così. Dobbiamo anteporre la misericordia al giudizio, e in ogni caso il giudizio di Dio sarà sempre nella luce della sua misericordia. Attraversare la Porta Santa, dunque, ci faccia sentire partecipi di questo mistero di amore, di tenerezza. Abbandoniamo ogni forma di paura e di timore, perché non si addice a chi è amato; viviamo, piuttosto, la gioia dell`incontro con la grazia che tutto trasforma”. Incontrando resistenze, scetticismi, paure, ma senza farsene spaventare.