di Giuseppe Novelli
“Per la prima volta dall’inizio di questa crisi migratoria vedo emergere un consenso europeo su una strategia che, se lealmente attuata, potrà aiutare a tamponare i flussi e a far fronte alla crisi”. Lo scrive il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, alla fine della sua lettera d’invito ai capi di Stato e di governo dell’Ue per il vertice straordinario Ue-Turchia, che si svolge oggi a Bruxelles. Il vertice Ue-Turchia vero e proprio, a cui per l’Italia parteciperà il primo ministro Matteo Renzi, comincerà con un pranzo di lavoro alle 12.30, dopo una prima riunione a quattro, fra lo stesso Tusk, il primo ministro turco Ahmet Davutoglu, il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker e il presidente del Parlamento europeo Martin Schulz. Alle 15, dopo la partenza del premier turco, i Ventotto riprenderanno la loro riunione e approveranno un documento di conclusioni. Tusk precisa nella lettera che il vertice avrà tre obiettivi: il primo è “tornare a Schengen”, ritornando ad applicare le regole comuni e il “Codice delle Frontiere”, che reggono l’area di libera circolazione di cui fanno parte 26 paesi europei.
Questo significa innanzitutto, afferma il presidente del Consiglio europeo, che bisogna “mettere fine alle politiche di lasciapassare dei migranti a ondate” che sono state applicate finora dai paesi della “rotta dei Balcani occidentali”. Una rotta che il vertice di lunedì dovrebbe dichiarare “chiusa”, dopo che attraverso di essa sono passati nell’Ue 880.000 migranti nel 2015 e 128.000 solo nei primi mesi di quest’anno. In secondo luogo, ma in realtà si tratta dell’obiettivo centrale ed essenziale del vertice, dovrà esserci un salto di qualità tangibile nella cooperazione con la Turchia, che dovrà essere confermato dal primo ministro di Ankara, Ahmet Davutoglu, durante una conferenza stampa nel pomeriggio, attorno alle 15, dopo la prima sessione del Consiglio, quella, a partire dalle 12.30, dedicata specificamente al formato 28+1. Dalla Turchia, i Ventotto si aspettano che applichi finalmente e con efficacia, a partire dal prossimo giugno, il piano d’azione concordato con l’Ue sulla crisi dei rifugiati, e soprattutto gli accordi di riammissione, riprendendosi tutti i migranti che non hanno diritto alla protezione internazionale e che ne hanno attraversato le frontiere illegalmente per recarsi in Europa lungo la rotta balcanica.
Solo i siriani e iracheni (che, vista la situazione nei loro paesi, sono sicuramente definibili come profughi) non saranno rispediti indietro, secondo l’accordo. La Turchia dovrebbe accettare anche di riprendere sul suo territorio tutti i migranti salvati e raccolti nel Mar Egeo dalle missioni di Frontex e da quella della Nato. In cambio, oltre ai tre miliardi di euro in aiuti diretti per i 2,8 milioni di rifugiati nei campi profughi in Turchia, l’Ue promette ad Ankara di non richiedere più il visto, a partire dal prossimo novembre, ai cittadini turchi che viaggeranno nei paesi europei. Il governo di Ankara ha sottolineato che, se questa parte dell’accordo non sarà rispettata, la Turchia cesserà immediatamente di applicare gli accordi di riammissione. Ci sono due temi che non sono previsti nell’agenda del vertice ma che verranno sicuramente a complicare le discussioni: da una parte, l’attacco sistematico alla stampa di opposizione da parte del regime autoritario di Erdogan, il presidente turco, che proprio nelle ultime ore ha registrato uno degli episodi più gravi, con gli attacchi della polizia alla sede del quotidiano Zaman. L’Ue non potrà non menzionare l’accaduto, ricordando quantomeno a Davutoglu che la Turchia ha degli standard di democrazia da rispettare in quanto paese candidato all’adesione (e se non lo faranno i leader la questione sarà probabilmente sollevata in sala stampa).
La seconda questione è la richiesta su cui insiste Ankara di creare una zona cuscinetto in Siria, sotto protezione internazionale, a ridosso della frontiera turca, in cui far affluire e raccogliere i profughi del conflitto. Erdogan ha cominciato a ventilare persino l’ipotesi di costruire una vera e propria città ex novo, con infrastrutture ben funzionanti, per accogliere i profughi, senza che siano costretti ad attraversare la frontiera e alimentare i flussi verso la Turchia e l’Europa. La questione, almeno ufficialmente, non è mai stata presa davvero sul serio dagli europei (mentre forse comincia a suscitare qualche interesse negli Usa), ma questo vertice è quasi certamente un’occasione che Davutoglu non si lascerà sfuggire. Il terzo obiettivo è quello riguardante la risposta alla crisi umanitaria, determinata, soprattutto in Grecia, dalla pressione dovuta all’afflusso massiccio di migranti ormai senza più “valvola di sfogo”, dopo la chiusura della rotta balcanica. La Commissione ha già messo sul tavolo la proposta di rendere disponibili dal bilancio comunitario 700 milioni di euro in tre anni, e i leader dei Ventotto approveranno certamente l’iniziativa. Un po’ più difficile sarà, al di là degli impegni a parole, far funzionare veramente, e finalmente, il meccanismo obbligatorio delle “relocation” (la redistribuzione negli altri paesi membri di 160 mila richiedenti asilo da Italia e Grecia) e quello volontario dei “resettlement”, i reinsediamenti in alcuni paesi Ue di alcune migliaia di rifugiati prelevati direttamente dai campi profughi nei paesi terzi.