Quando la politica è inadeguata. Autonomia a rischio

3 febbraio 2014

La vicenda siciliana, finita nelle cronache di tutti i quotidiani nazionali, con il suo bilancio eccepito in grande parte dal commissario dello Stato, rappresenta, simbolicamente, il nadir del regionalismo all’italiana, e apre la strada, ulteriormente, alle spinte rivolte verso la cancellazione della riforma del Titolo V della Costituzione. Una riforma che, invero, ha dato pessima prova di sé, avvalorando le obiezioni di chi riteneva che non avrebbe funzionato un “federalismo a Costituzione invariata” e che sarebbero aumentati solo i costi per la collettività e non già la qualità e la quantità dei servizi. Il presidente della Regione, Rosario Crocetta, lanciando i suoi strali contro il commissario dello Stato, “reo” di avere impugnato 36 articoli su 50 della Finanziaria regionale, ha invocato la costituzione dell’Alta Corte prevista dall’art. 24 dello Statuto siciliano, contro la presunta lesione alla specialità autonomistica.

In realtà, l’Alta Corte venne immediatamente istituita dopo l’approvazione, avvenuta con Regio Decreto Legislativo 15 maggio 1946, n. 455, dello Statuto siciliano e le sue competenze furono dichiarate assorbite dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 38 del 1957 della stessa Consulta, determinando un formidabile vulnus all’Autonomia speciale, non contrastato politicamente e giuridicamente dalla classe dirigente isolana dell’epoca, che conclamò così il suo endemico ascarismo. Ma proprio tale Corte di giustizia costituzionale paritetica, “caducata” ma non soppressa dal Giudice delle leggi, costituiva il simbolo dell’Autonomia siciliana, di quel rapporto “pattizio” posto alla base del motto autonomistico: “Due Nazioni in uno Stato”. All’epoca si sarebbe dovuta eccepire tale decisione, che mortificò in modo irreversibile l’Autonomia siciliana, poiché lo Statuto della Regione Siciliana con l’Alta Corte è inserito nella legge costituzionale n.2 del 26 febbraio 1948, cioè non è una legge ordinaria bensì costituzionale, e la Corte Costituzionale non può pronunziarsi su articoli di leggi costituzionali, su cui sono competenti le Camere per la loro soppressione o modifica; non poteva entrare quindi, nel merito della legge costituzionale del 1948, perché essa era stata approvata dalla Assemblea Costituente il 31 gennaio 1948 con riferimento all’art.116 della Costituzione, che è chiarissimo riguardo alle forme particolari di autonomia concesse alla Sicilia con Statuto Speciale adottato con norma costituzionale.

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Ma l’impugnativa del commissario dello Stato, Carmelo Aronica, ha ben poco a che vedere con lo Statuto autonomistico, poiché governo e Assemblea regionale sono stati “bocciati” per la violazione di tre articoli della Costituzione repubblicana, 81, 97 e 117, che riguardano entrate e uscite alla luce del controverso (e antisociale) principio europeo del vincolo di bilancio, obbligo dei concorsi pubblici per la Pubblica Amministrazione, potestà legislativa delle Regioni. Piuttosto, riguarda l’improvvisazione e il pressappochismo politico e dell’alta dirigenza della nostra Isola, nonostante gli ammonimenti lanciati dalla Corte dei Conti con il giudizio di parificazione del Bilancio siciliano lo scorso giugno. E intanto, mentre prosegue l’esercizio dialettico tra Stato e Regione Siciliana, migliaia di lavoratori con le loro famiglie, rischiano di rimanere senza reddito, nella disperazione più nera, a causa di una politica e una burocrazia inadeguate. (avantionline.it)

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